lunedì 6 luglio 2020

       NESSUNO    TOCCHI     CAINO           
       no   alla    pena    di     morte       



1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : ‘SUI PEDALI DELLA LIBERTA’’ PER SUPERARE IL CARCERE 2.  NEWS FLASH: BIELORUSSIA: CORTE SUPREMA ANNULLA CONDANNA CAPITALE 3.  NEWS FLASH: IRAN: ALTRI OTTO DIMOSTRANTI CONDANNATI A MORTE 4.  NEWS FLASH: EGITTO: ISLAMISTA LIBICO GIUSTIZIATO PER TERRORISMO 5.  NEWS FLASH: PAKISTAN: RILASCIATO DOPO 21 ANNI NEL BRACCIO DELLA MORTE 6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


‘SUI PEDALI DELLA LIBERTA’’ PER SUPERARE IL CARCERE Ti invitiamo a partecipare all’iniziativa “Sui pedali della libertà” che come Nessuno tocchi Caino-Spes contra spem patrociniamo insieme al Consiglio Nazionale Forense e ai futuristi di Spoiler.

E’ un viaggio dell’Italia in bicicletta che vedrà come protagonista Roberto Sensi, amministratore del quotidiano Il Dubbio, partito il 25 giugno dal Brennero con l’obiettivo di arrivare l’8 luglio a Capo Passero come puoi vedere dalla mappa del percorso.
Puoi aggregarti a Roberto, per tutta o una parte del viaggio oppure puoi raggiungerlo nei punti in cui farà le sue tappe per conoscerlo e farti conoscere raccontandogli la tua esperienza del carcere. Per contattarlo scrivi a info@nessunotocchicaino.it e Simona Giannetti, componete del Consiglio direttivo di Nessuno tocchi Caino-Spes contra spem e tra gli organizzatori della manifestazione, coordinerà la tua partecipazione al progetto che sarà seguito dal quotidiano Il Dubbio.
Perché partecipare? Perché, come dice il Manifesto dell’iniziativa “l’articolo 27 della nostra Costituzione ci dice che la pena è una realtà aperta al futuro. Ci spiega che non solo le pene non devono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, ma che devono tendere alla rieducazione del condannato. Così, dunque, la nostra Costituzione scommette sul cambiamento, sull’idea che la personalità del condannato non è incisa per sempre al reato che ha commesso ma è aperta al cambiamento”.
Ad ispirare il viaggio sono queste bellissime parole del giudice costituzionale Francesco Viganò, parole che ha pronunciato nel lungo viaggio che la Corte Costituzionale ha intrapreso negli istituti di pena italiani. Un viaggio che, prima di ogni cosa, ha voluto testimoniare come la Costituzione sia un valore universale: “La cittadinanza costituzionale non conosce muri né distinzioni”, hanno ribadito i giudici costituzionali. “Mai più un carcere cimitero dei vivi, giurarono i padri costituenti, che durante il ventennio fascista avevano conosciuto la mortificazione del carcere-cimitero”.
E quella contro l’idea del carcere-cimitero è una delle battaglie culturali sulle quali è stato fondato il Dubbio. Anche noi, come ha ricordato il giudice Viganò, scommettiamo sul futuro e sul superamento del carcere come mero strumento repressivo. Anche perché la mera repressione, oltre a tradire la nostra Costituzione, non fa un buon servizio alla sicurezza collettiva. I dati parlano chiaro: chi sconta la propria pena fuori dal carcere, chi può beneficiare di pene alternative e percorre progetti di reinserimento ha molte meno possibilità di reiterare i reati.
Ma la costruzione di progetti alternativi è più faticosa e ha bisogno di una politica forte, autorevole, paziente. Abbiamo assolutamente bisogno di una politica che smetta di assecondare per meri fini propagandistici le pulsioni più rabbiose e feroci che arrivano dalla società e che sia in grado di mettersi alla guida di un progetto di grande riforma che abbia come orizzonte una radicale trasformazione del carcere.
E così anche il Dubbio percorrerà l’Italia da Nord a Sud. Un viaggio che Roberto Sensi affronterà in bicicletta: circa 2.000 chilometri intervallati da visite negli istituti penitenziari italiani e chiacchierate con chi vive il carcere: istituzioni, associazioni e, naturalmente, i detenuti. Il viaggio sarà anche l’occasione per riannodare metaforicamente i fili spezzati di un Paese che in questi mesi si è dovuto chiudere in sé stesso: una sorta di grande detenzione collettiva che ha cambiato il nostro modo di vivere e di pensare e che nel momento stesso in cui ci ha isolati dagli altri, ci ha fatto capire quanto gli altri siano fondamentali. E così le nostre carceri che appaiono come monadi isolate, in realtà sono intrecciate più di quanto si crede alla “vita di fuori” e alla coscienza di ognuno di noi.
Roberto Sensi sarà il testimone diretto di un Paese che prova a rimettersi in piedi e il suo sguardo muoverà dall’ultimo avamposto della battaglia contro la disgregazione sociale. Lo sguardo da dentro, la visione dal carcere, sarà un’occasione per ribadire che i diritti scolpiti sulla nostra Costituzione devono per forza di cosa includere anche chi vive in carcere.
Il viaggio di Roberto sarà seguito in tempo reale dalla redazione del Dubbio che, attraverso il sito web, accoglierà e diffonderà i suoi racconti quotidiani. Video, scrittura, audio. La redazione del Dubbio utilizzerà tutti gli strumenti a sua disposizione per raccontare questo pellegrinaggio dei diritti. Un vero e proprio diario di viaggio alla fine del quale nessuno potrà più dire: “Marciscano pure in galera”
Perché le uniche catene che rendono liberi, come ha detto Roberto Sensi, sono quelle della bici! Buon viaggio!!!

Un abbraccio e a presto,

Sergio D’Elia – Rita Bernardini 

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

BIELORUSSIA: CORTE SUPREMA ANNULLA CONDANNA CAPITALE La Corte Suprema bielorussa il 30 giugno 2020 ha accolto l'appello di un detenuto nel braccio della morte, annullando la sua condanna capitale in un caso di omicidio, una mossa molto rara nel Paese strettamente controllato dal presidente autocrate Alyaksandr Lukashenka.
Nello stesso caso, la Corte ha annullato altre due condanne detentive, ordinando ulteriori indagini e un nuovo processo. La Bielorussia è l'unico Paese in Europa che applica la pena di morte.
Un tribunale della città centrale di Slutsk all'inizio di marzo aveva condannato a morte il 29enne Viktar Skrundzik, a 22 anni di prigione il 25enne Vital Myatsezh e a 18 anni di prigione il 33enne Valyantsin Bushnin, ritenendoli colpevoli di aver ucciso due persone anziane, oltre che di tentato omicidio, incendio doloso e rapina.
Tutti e tre si erano dichiarati parzialmente colpevoli e avevano presentato appello contro le loro condanne. Skrundzik aveva dichiarato nel processo che la sua confessione iniziale era stata estorta dagli investigatori.
All'udienza di appello del 30 giugno era presente il solo Skrundzik.
E’ stato portato in aula ammanettato e in una divisa speciale per condannati a morte che riportava le lettere VMN. L'acronimo sta per pena capitale.
Skrundzik ha ribadito la sua posizione, affermando di aver confessato gli omicidi dei due anziani - Mikhail Shuhaley e Uladzimer Harkavets - sotto pressione, sostenendo di non averli in realtà uccisi.
Secondo Skrundzik, fu Bushnin a uccidere i due uomini.
Skrundzik ha aggiunto di temere Bushnin dal momento che sarebbe legato ad ambienti criminali.
L'attivista bielorusso per i diritti umani Andrey Paluda ha definito la decisione della Corte Supremay "un momento storico".
"Una condanna a morte è stata annullata, il che è molto raro .... L'intero caso verrà reinvestigato e questa è una grande cosa, che noi salutiamo", ha detto Paluda a RFE/RL.
Da anni l'Unione Europea esorta la Bielorussia a unirsi ad altri Paesi nel dichiarare una moratoria sulla pena capitale.
Secondo Paluda, oltre a Skrundzik, ci sono altre quattro persone nel braccio della morte in Bielorussia.
Le organizzazioni per i diritti umani dicono essere più di 400 le persone condannate a morte in Bielorussia da quando il Paese ha ottenuto l'indipendenza, in seguito al crollo dell'Unione Sovietica nel 1991.


IRAN: ALTRI OTTO DIMOSTRANTI CONDANNATI A MORTE Sono state confermate in Iran altre otto condanne a morte di partecipanti a disordini di piazza, ha detto il 26 giugno 2020 il capo della magistratura di Isfahan.
La notizia è stata pubblicata dal sito filogovernativo “Quds Online”, con riferimento a Mohammadreza Habibi, il principale giudice della provincia di Isfahan, che ne avrebbe parlato durante il sermone della Preghiera del Venerdì.
“Quando le leggi vengono violate, come è successo durante i disordini del 2009, del 2017 e nel novembre 2019, noi affrontiamo i ribelli e i teppisti con decisione”.
Habibi ha aggiunto che la Corte Suprema ha confermato le condanne a morte di otto “contestatori” accusati di “Moharebeh”, ossia di “spargere la corruzione sulla terra”.
Non ha chiarito invece se gli uomini siano stati arrestati dopo i disordini del novembre 2019, o dopo altri episodi. Due giorni prima (24 giugno) si era appreso che la Corte Suprema aveva confermato tre condanne a morte emesse a Teheran per le “proteste di novembre”. Considerata la distanza tra Teheran e la regione di Isfahan (anche Esfahan) i due casi verosimilmente sono distinti. Quelle che la stampa internazionale ha chiamato “le proteste di novembre” sono disordini di piazza durati diversi giorni ed estesi ad almeno 29 delle 31 provincie iraniane, scaturiti dopo un decreto legge del governo che, nonostante l’Iran sia uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio, triplicava i prezzi dei carburanti, e ne disponeva il razionamento. Non esiste un bilancio definitivo delle vittime dei “disordini”, secondo il governo poche centinaia, secondo gruppi dell’opposizione e la Reuters, 1.500 morti e migliaia di arresti.


EGITTO: ISLAMISTA LIBICO GIUSTIZIATO PER TERRORISMO L'Egitto ha giustiziato l’islamista libico Abdul Rahim Mohammed Al Mesmari, ritenuto la mente dietro l'attacco alle forze di sicurezza nell'Oasi di Bahariya nel 2017, ha dichiarato il Ministero della Difesa sul suo account ufficiale su YouTube il 27 giugno 2020.
Al Mesmari era stato catturato nel 2017 durante un raid contro un gruppo accusato dell'attacco, in cui secondo le autorità 16 poliziotti restarono uccisi.
Nel 2019, il Tribunale Penale Militare condannò a morte Al Mesmari e altri 32 imputati furono condannati all'ergastolo per il loro ruolo nell'attacco. Altri venti imputati furono assolti.
Un gruppo terroristico chiamato Ansar Al Islam rivendicò la responsabilità dell'attacco, divenendo una nuova minaccia per le forze di sicurezza egiziane, che dal 2013 combattono il Daesh nella penisola del Sinai.
L'attacco nel Deserto Occidentale avvenne nell'ottobre 2017 quando Al Fat’h Al Islami, di cui Al Mesmari era membro, tese un'imboscata a una pattuglia della polizia nell'oasi di Bahariya, uccidendo 16 poliziotti e ferendone 13.
L’esecuzione di Al Mesmari giunge a meno di un anno di distanza dalla sua condanna a morte nel novembre 2019 da parte di un tribunale militare egiziano.
Era stato riconosciuto colpevole di omicidio premeditato di poliziotti, possesso di armi ed esplosivi senza licenza, appartenenza a organizzazione terroristica, oltre che appartenenza a gruppo fuorilegge dedito ad attacchi contro polizia, esercito e istituzioni.
Era stato anche condannato per il rapimento, avvenuto nel corso dell’attacco, di un poliziotto che era stato in seguito salvato con un'operazione da parte delle forze di sicurezza vicino all'autostrada di El Wahat, in cui furono uccisi diversi terroristi.
Al Mesmari avrebbe ammesso tutti i dettagli dell'attacco di Wahat in un'intervista nel novembre 2017, dopo il suo arresto avvenuto nell’ambito di una campagna di sicurezza. Nell’intervista l’islamista non aveva espresso alcun rimorso per gli omicidi dei 16 agenti di polizia.
L’attacco di Wahat è stata l'ultima operazione effettuata dal gruppo affiliato ad Al Qaida con base in Libia guidato da Hisham Ashmawi. La maggior parte dei membri principali del gruppo sono stati uccisi. Ashmawi è stato giustiziato a marzo dopo essere stato consegnato al Cairo nel maggio 2019 dalle autorità libiche.


PAKISTAN: RILASCIATO DOPO 21 ANNI NEL BRACCIO DELLA MORTE E’ stato rilasciato dal carcere Muhammad Iqbal, un uomo che ha trascorso gli ultimi 21 anni nel braccio della morte pakistano per un crimine che avrebbe commesso da minorenne, ha reso noto il Justice Project Pakistan (JPP).
Il JPP è uno studio legale senza fine di lucro che fornisce consulenza legale, rappresentanza e servizi investigativi pro-bono ai detenuti più vulnerabili che subiscono le pene più severe.
Iqbal aveva solo 17 anni quando nel 1998 fu arrestato e condannato a morte l’anno successivo, ha scritto il JJP in una dichiarazione relativa al suo rilascio.
Nel 2000, il Pakistan ha approvato l'Ordinanza sul Sistema di Giustizia Minorile (JJSO), rendendo illegale la condanna a morte dei minorenni.
Una disposizione presidenziale del 2001 aveva successivamente concesso la grazia a tutti i minorenni condannati prima dell'ordinanza, tuttavia Iqbal era rimasto nel braccio della morte nonostante la sua comprovata minore età all’epoca del crimine, ha affermato il JPP.
Una lettera, ha aggiunto, era stata scritta dal governo del Punjab all'Alta Corte di Lahore nel 2003, in cui Iqbal veniva definito come prigioniero avente diritto alla grazia.
Diversi gruppi per i diritti umani e relatori speciali delle Nazioni Unite avevano inviato una lettera al governo pakistano lo scorso marzo chiedendo che la condanna a morte di Iqbal fosse commutata. La lettera evidenziava che Iqbal era stato accusato di omicidio e rapina a soli 17 anni.
La sua condanna a morte è stata commutata in ergastolo dall’Alta Corte di Lahore l’8 giugno 2020 e Iqbal è stato rilasciato dal carcere il 30 giugno, essendo stato riconosciuto che ha già scontato l’ergastolo.

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