sabato 14 novembre 2015

NESSUNO TOCCHI CAINO

no alla pena di morte........................





1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : LETTERA APERTA AI MASSIMI RESPONSABILI DELLO STATO ITALIANO ALLA VIGILIA DELLA VISITA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ISLAMICA DELL’IRAN 2.  NEWS FLASH: ROMA: PRESENTATA LA CAMPAGNA @MOVINGRIGHTS4IRAN CON #DITELOAROUHANI 3.  NEWS FLASH: ARABIA SAUDITA: ALTRE CINQUE DECAPITAZIONI 4.  NEWS FLASH: USA: PUBBLICATA L’ULTIMA EDIZIONE DELL’UNIFORM CRIME REPORT 5.  NEWS FLASH: PAKISTAN: IMPICCATO PER OMICIDIO A BAHAWALPUR 6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA : MANIFESTAZIONE SULLA VISITA DI ROUHANI IN ITALIA


LETTERA APERTA AI MASSIMI RESPONSABILI DELLO STATO ITALIANO ALLA VIGILIA DELLA VISITA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ISLAMICA DELL’IRAN


11 novembre 2015: L’elezione di Hassan Rouhani come Presidente della Repubblica Islamica ha portato molti osservatori, alcuni difensori dei diritti umani e la comunità internazionale a essere ottimisti. Tuttavia, il nuovo Governo non ha cambiato il suo approccio per quanto riguarda l’applicazione della pena di morte; anzi, il tasso di esecuzioni è nettamente aumentato: circa 2.000 prigionieri sono stati giustiziati in Iran dall’inizio della presidenza di Rouhani nel giugno 2013 ad oggi.
Nel solo anno in corso, al 15 ottobre, sono state compiute almeno 854 esecuzioni, un numero record mai registrato finora e un ritmo che, se resterà tale, porterà a più di mille esecuzioni quest’anno.
Il dato più preoccupante è che almeno 560 esecuzioni sono state effettuate quest’anno per reati di droga, il che corrisponde a circa l’89% del totale mondiale per questo tipo di reati, se si escludono quelle compiute in Cina, il cui numero è sconosciuto ma sicuramente inferiore di gran lunga al dato iraniano. Occorre, a questo proposito, rilevare che tutti gli organismi delle Nazioni Unite sui diritti umani hanno dichiarato i reati di droga non ascrivibili alla categoria dei “reati più gravi” per i quali sarebbe “legittima” l’applicazione della pena di morte.
La Repubblica Islamica detiene il triste primato mondiale di esecuzioni di minorenni, che sono raddoppiate nel 2014 (almeno 17) e sono continuate nel 2015 (almeno 4), fatto che pone l’Iran in aperta violazione della Convenzione sui Diritti del Fanciullo e del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che pure ha ratificato.
Le impiccagioni di appartenenti alle minoranze etniche e religiose per fatti non violenti o di natura essenzialmente politica si sono intensificate nel 2014 (almeno 32) e nei primi mesi del 2015 (almeno altre 16). Ma è probabile che molti altri giustiziati per reati comuni o per “terrorismo” fossero in realtà oppositori politici, in particolare appartenenti alle varie minoranze etniche iraniane, tra cui azeri, curdi, baluci e ahwazi. Accusati di essere mohareb, cioè nemici di Allah, gli arrestati sono di solito sottoposti a un processo rapido e severo che si risolve spesso con la pena di morte.
Le esecuzioni per motivi politici ordinate dalla Repubblica Islamica guidata da Hassan Rouhani sono l’ultimo capitolo di una storia iniziata nell’estate 1988 quando, in seguito a una fatwa di Khomeini, sono stati impiccati oltre 30.000 prigionieri politici, in massima parte simpatizzanti dei Mojahedin del Popolo Iraniano (PMOI), accusati di essere “nemici di Allah”. Mentre molte organizzazioni per la difesa dei diritti umani l’hanno definito un crimine contro l’umanità, molti dei responsabili di quel massacro fanno oggi parte della classe dirigente del regime. Come Mostafa Poor Mohammadi e Seyed Ebrahim Reisi – due dei cinque membri del cosiddetto “Comitato del perdono” che Khomeini aveva inviato nelle carceri e poi rivelatosi essere un “Comitato della morte” –, divenuti oggi, rispettivamente, Ministro della Giustizia e Procuratore Generale della Repubblica Islamica. La persecuzione dei Mojahedin del Popolo Iraniano è continuata anche in Iraq dove la sera del 29 ottobre scors  o circa 2.000 rifugiati sotto protezione internazionale detenuti a Camp Liberty sono stati vittime di un attacco missilistico – l’ennesimo di una lunga serie – nel quale hanno perso la vita almeno 24 persone e decine di altre sono rimaste ferite.
Non c’è solo la pena di morte, secondo i dettami della Sharia iraniana, ci sono anche torture, amputazioni degli arti, fustigazioni e altre punizioni crudeli, disumane e degradanti. Non si tratta di casi isolati e avvengono in aperto contrasto con il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici che l’Iran ha ratificato e queste pratiche vieta. Migliaia di ragazzi subiscono ogni anno frustate per aver bevuto alcolici o aver partecipato a feste con maschi e femmine insieme o per oltraggio al pubblico pudore. L’Iran è diventato uno dei clienti più attivi nell’acquisto di strumenti di censura della rete e ha bloccato circa cinque milioni di siti che trattano di arte, questioni sociali, notizie, di blog e social network.
Il 18 dicembre 2014, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una Risoluzione che esprime profonda preoccupazione per l’“allarmante frequenza” dell’uso della pena di morte in Iran, tra cui le esecuzioni pubbliche, le esecuzioni di gruppo segrete e la pratica della pena di morte nei confronti di minori e persone che al momento del reato avevano meno di 18 anni, in violazione degli obblighi della Repubblica Islamica verso la Convenzione sui Diritti del Fanciullo e il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici. Le Nazioni Unite hanno inoltre condannato l’imposizione della pena di morte per reati che non hanno una definizione precisa ed esplicita, tra cui Moharebeh (inimicizia contro Dio), e per reati che non si qualificano come i crimini più gravi, in violazione del diritto internazionale. La Risoluzione ha anche criticato l’uso della tortura e di trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, tra cui la fustigazione e l’amputazione.
Quanto su descritto valga da promemoria per tutte le autorità del nostro Paese che il 14 e il 15 novembre riceveranno il Presidente iraniano Hassan Rouhani che ha scelto Roma come prima capitale europea da visitare, indicando nell’Italia la “porta d’ingresso” verso l’Occidente.
Ai massimi rappresentanti dello Stato italiano, riconosciuto da tutti nel mondo come il campione della battaglia per la Moratoria Universale delle esecuzioni capitali e per l’istituzione del Tribunale Penale Internazionale, chiediamo di porre la questione della pena di morte e più in generale del rispetto dei Diritti Umani al centro di ogni incontro e intesa con rappresentanti della Repubblica Islamica dell’Iran, a partire dal suo Presidente Rouhani.

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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

ROMA: PRESENTATA LA CAMPAGNA @MOVINGRIGHTS4IRAN CON #DITELOAROUHANI
13 novembre 2015: una pagina Facebook (@MovingRights4Iran), un hashtag su Twitter (#DiteloaRouhani), una lettera aperta ai massimi responsabili dello Stato Italiano e una manifestazione domani (14 novembre) dalle 10 alle 14 a piazza del Popolo per chiedere che le autorità che sabato e domenica incontreranno il presidente iraniano Hassan Rohani a Roma mettano in agenda la questione della pena di morte e del rispetto dei diritti umani nella Repubblica Islamica. Sono queste le iniziative presentate oggi a Roma da Nessuno tocchi Caino ed Equality Italia, oltre che da Partito Radicale, Associazione Luca Coscioni, A Buon Diritto, Arci, ArciGay, Radicali Italiani, Certi Diritti, ArciLesbica, Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili, Eraonlus, Non c'è Pace senza Giustizia, Lega Italiana dei Diritti Umani, Hope, GaiaItalia.com, Comitato Helsinki, We Are What We Do.
Nella pagina Facebook @MovingRights4Iran e sull'account di Twitter con l'hashtag #DiteloaRouhani sono raccolte storie di dissidenti e oppositori politici in carcere, ma anche di poeti condannati a essere frustrati per ''insulto al sacro'' o di una vignettista finita dietro le sbarre e umiliata con un test di verginità per aver ritratto i parlamentari di Teheran con un volto animale. Perché in Iran sono ancora in vigore ''punizioni degradanti e disumane, fustigazioni, amputazione degli arti, torture'', sottolinea Elisabetta Zamparutti, rappresentante per l'Italia al Consiglio d'Europa nel Comitato per la prevenzione della tortura.
''Dall'elezione di Rohani alla presidenza iraniana nel giugno del 2013 le esecuzioni in Iran sono triplicate, con duemila giustiziati, tra cui minorenni e donne - spiega Sergio D'Elia, segretario di Nessuno tocchi Caino – Non bastera' la solita formula 'siamo preoccupati', ne' un richiamo generico, ma occorre fare una lista precisa delle gravi violazioni dei diritti umani in Iran, una minaccia quotidiana e concreta nei confronti del popolo iraniano, e ricordarci che gli affari duraturi si fanno con un Paese sostenibile e non con uno illiberale come l'Iran dove ogni accordo deve essere approvato dalla Guida suprema, l'Ayatollah Ali Khamenei, ed è condizionato dal via libera dei Pasdaran''. "Gli accordi commerciali non sono incompatibili con i diritti umani. Gli uni servono agli altri se procedono di pari passo".
Inoltre, aggiunge d'Elia, ''l'Iran continua a voler cancellare Israele dalla mappa. Se questa questione non viene sollevata negli accordi, allora nulla è credibile''.
In Iran è in atto un ''processo di annientamento dei diritti umani'', interviene Zamparutti, che ricorda che ''al 15 ottobre sono state compiute almeno 845 esecuzioni e si arriverà a superare le mille quest'anno. Almeno 560 sono state le esecuzioni per reati di droga, l'89 per cento del totale mondiale, anche se le Nazioni Unite non considerano 'legittima' in base al diritto internazionale l'applicazione della pena di morte per i reati legati alla droga''.
Zamparutti ricorda poi l'attacco del 29 ottobre ''con 80 missili a Camp Liberty vicino a Baghdad, dove sono ospitati duemila rifugiati, membri della Resistenza Iraniana. “Ne sono morti 24, ma non c'è stata alcuna reazione da parte del nostro governo''.
Inoltre, afferma Aurelio Mancuso di Eqaulity Italia, in Iran ''dal 1979 sono stati uccisi quattromila omosessuali''. Esiste un ''diritto di fare accordi, ma anche un dovere di sottolineare la necessità di uno stato di diritto in Iran'', ha concluso Nariman Ardalani, rappresentante della Resistenza Iraniana.

ARABIA SAUDITA: ALTRE CINQUE DECAPITAZIONI
13 novembre 2015: altri cinque prigionieri sono stati decapitati in Arabia Saudita negli ultimi giorni.
Tre cittadini iraniani sono stati giustiziati l’8 novembre dopo essere stati riconosciuti colpevoli di traffico di droga. Lo ha reso noto il Ministero degli Interni saudita, secondo cui i tre avrebbero tentato di “introdurre nel Paese un’ingente quantità di hashish attraverso il mare”. Le esecuzioni dei tre iraniani sono state effettuate nella città portuale orientale di Dammam.
Un altro uomo è stato decapitato il 9 novembre per aver ucciso un poliziotto. Lo ha comunicato il Ministero degli Interni, secondo cui Ayed al-Jahdali – cittadino saudita – avrebbe sparato ad un poliziotto che procedeva al suo arresto per traffico di droga. L’esecuzione dell’omicida è stata effettuata nella regione occidentale di Makkah.
Il 12 novembre, un uomo è stato decapitato dopo essere stato riconosciuto colpevole di omicidio. Lo ha reso noto sempre il Ministero degli Interni, identificando il giustiziato come Nasser al-Qahtani, cittadino saudita che era stato condannato a morte per aver ucciso con arma da fuoco un connazionale.
Con quest’ultima decapitazione, giungono a 147 le persone giustiziate in Arabia Saudita da inizio anno, sulla base di un conteggio tenuto dalla Afp. Nel 2014 i prigionieri messi a morte nel Regno sono stati 87. 

USA: PUBBLICATA L’ULTIMA EDIZIONE DELL’UNIFORM CRIME REPORT
6 novembre 2015: il Federal Bureau of Investigation (FBI) ha pubblicato il suo tradizionale “Rapporto sulla criminalità” negli Stati Uniti, con i dati aggiornati al 2014.
Si tratta dei dati raccolti da oltre 18.000 corpi di polizia locale e nazionale, e copre circa 318 milioni di abitanti, compresi 3,5 milioni di Puerto Rico.
Nel "Crime in the United States, 2014" si rileva che il tasso di omicidi negli Usa rimane lo stesso dello scorso anno: 4,5 omicidi ogni 100.000 abitanti. Si tratta di un leggero ma costante calo rispetto agli anni precedenti: nel 2012 e nel 2011 era 4,7. Il tasso era 4,8 nel 2010, 5,0 nel 2009, 5,4 nel 2008, 5,7 nel 2007 5,8 nel 2006, fino alla prima rilevazione del 1993 che era del 9,5.
Come numero totale, gli omicidi (esclusi gli omicidi colposi) nel 2014 sono stati 14.249.
Nel 2013 erano stati 14.319 (questo dato è stato corretto rispetto al rapporto dello scorso anno, che lo stimava in 13.716 rilevati, aumentati a 14.196 stimando una percentuale di omicidi sfuggiti al computo ufficiale. Nel 2012 erano stati 14.349. Rispetto al 2013 gli omicidi sono calati dello 0,5%. Nel corso degli ultimi 5 anni invece gli omicidi sono calati del 3,2%, e del 14,9% nel corso degli ultimi 10 anni. Non si può non notare che il calo degli omicidi è avvenuto mentre nel paese calavano le esecuzioni: dal 2014 al 2013 le esecuzioni sono calate del 10,2%, rispetto agli ultimi 5 anni del 23%, e rispetto agli ultimi 10 del 41%.
Ai 14.249 omicidi propriamente detti devono essere aggiunti i cosiddetti “omicidi giustificati”, ossia quelli compiuti dalla polizia nello svolgimento delle proprie funzioni, o da privati cittadini per quella che viene considerata legittima difesa. La polizia nel 2014 ha ucciso 444 persone (461 nel 2013, 410 nel 2012). Privati cittadini hanno ucciso, rispettando la legge, 277 persone (281 nel 2013, 310 nel 2012).
Il dato degli omicidi compiuti dalla polizia è stato contestato nei mesi scorsi da alcune banche dati online compilate da volontari (tra cui “Fatal Encounters” e “Killed by Police”) che stimano in circa 1.100 l’anno le vittime della polizia. Il FBI riconosce l’incompletezza dei propri dati, spiegata dal fatto che le polizie locali non hanno l’obbligo di fornire tutti gli aggiornamenti relativi a questo tipo di “crimine”. Il rapporto divide gli Usa in 4 zone. Il tasso di omicidi più basso (3,3 casi ogni 100.000 abitanti) si registra nel Northeast (Connecticut, Maine, Massachusetts, New Hampshire, New Jersey, New York, Pennsylvania, Rhode Island, Vermont,). L’anno scorso il tasso del NE era del 3,5. Il secondo tasso più basso (3,9) si registra nel West (Alaska, Arizona, California, Colorado, Hawaii, Idaho, Montana, Nevada, New Mexico, Oregon, Puerto Rico, Utah, Washington, Wyoming). Nel 2013 era 4,0. Il terzo tasso (4,3) è quello del Midwest (Illinois, Indiana, Iowa, Kansas, Mi  chigan, Minnesota, Missouri, Nebraska, North Dakota, Ohio, South Dakota, Wisconsin). Era 4,6 nel 2013. Il tasso di omicidi più alto (5,5) è quello del Sud (Alabama, Arkansas, Delaware, District of Columbia, Florida, Georgia, Kentucky, Louisiana, Maryland, Mississippi, North Carolina, Oklahoma, South Carolina, Tennessee, Texas, Virginia, West Virginia). Era 5,3 nel 2013, e ancora 5,5 nel 2012.
Come è noto, il Northeast è la zona degli Usa dove il ricorso alla pena di morte è tradizionalmente molto minore rispetto alle altre aree del paese. È una costante che in epoca moderna il Nordest registri la più bassa percentuale di omicidi del paese. Discorso opposto per il Sud, che da solo registra l’82% delle esecuzioni Usa, ma continua ad avere il più alto tasso di criminalità violenta del paese.
Secondo una aggregazione di dati realizzata dal Death Penalty Information Center, nel complesso gli stati che non utilizzano la pena di morte hanno un tasso omicidiario del 3,8 mentre gli stati che la usano sono al 4,7. Gli stati senza pena di morte hanno cioè un tasso di omicidi che è del 22% più basso rispetto agli stati con la pena di morte. Gli stati con il tasso di omicidi più alto sono Puerto Rico (isola caraibica considerato territorio USA) con il 19.2, il Distretto di Columbia (la parte centrale della città di Washington) con 15.9, la Louisiana (10.3) e il Mississippi (8.6). I tassi più bassi sono in New Hampshire (0,9) Maine, Minnesota e Vermont (1,6). Nel complesso nella nazione si stima siano avvenuti 1.165.000 reati violenti. Rispetto al 2013 la diminuzione è dello 0,2%. Nell’arco degli ultimi 5 anni la diminuzione dei reati violenti è stata del 6,9%, mentre negli ultimi 10 anni del 16,2%.
Nel 2014 le forze dell’ordine stimano siano stati arrestate poco più di 11,2 milioni di persone, esclusi gli arresti per violazioni stradali ma inclusi gli arresti per “DUI”, ossia guida sotto l’influsso di alcolici o droga. Il numero maggiore di arresti, oltre 1,5 milioni, è stato per reati di droga, 1,2 per furto, e 1,1 per guida “DUI”. Per omicidio sono state arrestate più di 10.571 persone.
Dividendo il numero complessivo di arresti per la popolazione degli Stati Uniti, si ha un tasso di 3,5 arresti ogni 100 abitanti.
Lo studio del Fbi calcola che nello stato nel 2014 siano stati “risolti” il 64,5% degli omicidi, il 47,4% del complesso dei reati violenti e il 20,2% dei reati contro la proprietà. Nel complesso degli arresti, il 73,3% ha riguardato maschi, il 69,4% persone di razza bianca (compresi gli ispanici), il 27,8% persone di razza nera, e il 2,8% persone di altre minoranze razziali. Nel 2013, 23 agenti di polizia sono stati uccisi in servizio. Non è stato ancora pubblicato il Law Enforcement Officers Killed and Assaulted relativo al 2014 che riporterà il numero di agenti di polizia uccisi in servizio nel 2014.
Per tutti i dati sopra riportati lo Uniform Crime Report fornisce un’ampia serie di dati, comprese le suddivisioni per fascia di età, sesso e razza di vittime e arrestati, e anche una interessante serie di tabelle che studia la relazione tra vittima e arrestato. UCR fornisce anche il numero totale di agenti di polizia in servizio nei vari corpi del paese, il media 2,3 poliziotti ogni 1.000 abitanti, che salgono a 3,4 se si comprendono anche gli impiegati presso i corpi di polizia. Ad esempio, gli agenti di polizia sono all’88% maschi, mentre gli impiegati di polizia sono al 60% femmine. Secondo i dati ufficiali contenuti nel rapporto Prisoners in 2014 (NCJ 248955), alla data del 31 dicembre 2014 nelle carceri federali e statali degli Stati Uniti erano detenute 1,561,500 persone. Secondo un altro rapporto ufficiale aggiornato però al 31 dicembre 2013 (Correctional Populations In The United States, 2013) altre 730.000 persone sarebbero detenute nelle carceri locali. (Come è not  o, negli Stati Uniti si usano due termini diversi: PRISON è il carcere statale o federale, JAIL è il carcere locale). Il numero di detenuti registrati nel 2014 è inferiore dell’1% rispetto al 2013, ed è il più basso negli ultimi 10 anni. Il calo è attribuito in maggior parte ad una serie di sconti di pena che il sistema federale sta gradualmente applicando a chi ha pena alte per reati non violenti legati alla droga.
La popolazione detenuta è composta da 516,900 maschi neri (37%), 453,500 maschi bianchi (32%), e 308,700 maschi ispanici (22%). Il 7% della popolazione detenuta è composta da donne. Tra loro, il 50% è bianco, il 21% nero. Confrontando questi numeri con il totale della popolazione, quasi il 3% dei maschi neri sono in carcere con pene superiori ad 1 anni, l’1% dei maschi ispanici, e lo 0,5% dei maschi bianchi. Un maschio nero ha circa 7 volte più probabilità di finire in carcere rispetto ad un maschio bianco, e circa 2,3 volte più probabilità rispetto ad un maschio ispanico.
Il 50% dei detenuti nelle carceri federali e il 16% nelle carceri statali è stato condannato per reati di droga. Tra gli ispanici, il 26% è stato condannato per reati legati all’immigrazione. 131.000 detenuti provenienti da 30 stati e dal circuito federale sono tenuti in carceri gestite da privati. Il numero è di 2.100 unità inferiore all’anno precedente. Il rapporto Prisoners in 2014 (NCJ 248955) non contiene i dati sulle prigioni locali. In un rapporto più completo del 2013 (“Correctional Populations In The United States, 2013”) ai 1.560.000 detenuti nelle carceri federali e statali andrebbero aggiunti oltre 730.000 detenuti nelle carceri locali, 3.9 milioni sottoposti a controlli periodici (libertà vigilata), e oltre 850.000 persone in libertà condizionale. Entrambe questi rapporti sono a cura del BJS (Bureau of Justice Statistics), un’agenzia federale.


PAKISTAN: IMPICCATO PER OMICIDIO A BAHAWALPUR
12 novembre 2015: un detenuto è stato impiccato la mattina presto nel Nuovo Carcere Centrale di Bahawalpur, ha riportato l’agenzia Dunya News.
Si tratta di Nadeem alias Nadeemi Pathan, che era stato riconosciuto colpevole dell’omicidio di Mir Zaheerul Hassan Tirmizi, commesso nel 1997. Il corpo di Nadeem – che era membro di un’organizzazione fuorilegge – è stato riconsegnato alla sua famiglia.
Dal 17 dicembre 2014, quando si è conclusa la moratoria di fatto sulla pena capitale, almeno 293 persone, tra cui ventisei condannati per terrorismo, sono state impiccate in varie prigioni del Pakistan.

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