NESSUNO TOCCHI CAINO
no alla pena di morte........................
1. LA STORIA DELLA
SETTIMANA : LETTERA APERTA AI MASSIMI RESPONSABILI DELLO STATO ITALIANO ALLA
VIGILIA DELLA VISITA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ISLAMICA DELL’IRAN 2. NEWS FLASH: ROMA: PRESENTATA LA CAMPAGNA
@MOVINGRIGHTS4IRAN CON #DITELOAROUHANI 3.
NEWS FLASH: ARABIA SAUDITA: ALTRE CINQUE DECAPITAZIONI 4. NEWS FLASH: USA: PUBBLICATA L’ULTIMA EDIZIONE
DELL’UNIFORM CRIME REPORT 5. NEWS FLASH:
PAKISTAN: IMPICCATO PER OMICIDIO A BAHAWALPUR 6. I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :
MANIFESTAZIONE SULLA VISITA DI ROUHANI IN ITALIA
LETTERA APERTA AI MASSIMI RESPONSABILI DELLO STATO
ITALIANO ALLA VIGILIA DELLA VISITA DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ISLAMICA
DELL’IRAN
11 novembre 2015: L’elezione di Hassan Rouhani come
Presidente della Repubblica Islamica ha portato molti osservatori, alcuni
difensori dei diritti umani e la comunità internazionale a essere ottimisti.
Tuttavia, il nuovo Governo non ha cambiato il suo approccio per quanto riguarda
l’applicazione della pena di morte; anzi, il tasso di esecuzioni è nettamente
aumentato: circa 2.000 prigionieri sono stati giustiziati in Iran dall’inizio
della presidenza di Rouhani nel giugno 2013 ad oggi.
Nel solo anno in corso, al 15 ottobre, sono state compiute
almeno 854 esecuzioni, un numero record mai registrato finora e un ritmo che,
se resterà tale, porterà a più di mille esecuzioni quest’anno.
Il dato più preoccupante è che almeno 560 esecuzioni sono
state effettuate quest’anno per reati di droga, il che corrisponde a circa
l’89% del totale mondiale per questo tipo di reati, se si escludono quelle
compiute in Cina, il cui numero è sconosciuto ma sicuramente inferiore di gran
lunga al dato iraniano. Occorre, a questo proposito, rilevare che tutti gli
organismi delle Nazioni Unite sui diritti umani hanno dichiarato i reati di
droga non ascrivibili alla categoria dei “reati più gravi” per i quali sarebbe
“legittima” l’applicazione della pena di morte.
La Repubblica Islamica detiene il triste primato mondiale
di esecuzioni di minorenni, che sono raddoppiate nel 2014 (almeno 17) e sono
continuate nel 2015 (almeno 4), fatto che pone l’Iran in aperta violazione
della Convenzione sui Diritti del Fanciullo e del Patto Internazionale sui
Diritti Civili e Politici che pure ha ratificato.
Le impiccagioni di appartenenti alle minoranze etniche e
religiose per fatti non violenti o di natura essenzialmente politica si sono
intensificate nel 2014 (almeno 32) e nei primi mesi del 2015 (almeno altre 16).
Ma è probabile che molti altri giustiziati per reati comuni o per “terrorismo”
fossero in realtà oppositori politici, in particolare appartenenti alle varie
minoranze etniche iraniane, tra cui azeri, curdi, baluci e ahwazi. Accusati di
essere mohareb, cioè nemici di Allah, gli arrestati sono di solito sottoposti a
un processo rapido e severo che si risolve spesso con la pena di morte.
Le esecuzioni per motivi politici ordinate dalla
Repubblica Islamica guidata da Hassan Rouhani sono l’ultimo capitolo di una
storia iniziata nell’estate 1988 quando, in seguito a una fatwa di Khomeini,
sono stati impiccati oltre 30.000 prigionieri politici, in massima parte
simpatizzanti dei Mojahedin del Popolo Iraniano (PMOI), accusati di essere
“nemici di Allah”. Mentre molte organizzazioni per la difesa dei diritti umani
l’hanno definito un crimine contro l’umanità, molti dei responsabili di quel
massacro fanno oggi parte della classe dirigente del regime. Come Mostafa Poor
Mohammadi e Seyed Ebrahim Reisi – due dei cinque membri del cosiddetto
“Comitato del perdono” che Khomeini aveva inviato nelle carceri e poi
rivelatosi essere un “Comitato della morte” –, divenuti oggi, rispettivamente,
Ministro della Giustizia e Procuratore Generale della Repubblica Islamica. La
persecuzione dei Mojahedin del Popolo Iraniano è continuata anche in Iraq dove
la sera del 29 ottobre scors o circa
2.000 rifugiati sotto protezione internazionale detenuti a Camp Liberty sono
stati vittime di un attacco missilistico – l’ennesimo di una lunga serie – nel
quale hanno perso la vita almeno 24 persone e decine di altre sono rimaste
ferite.
Non c’è solo la pena di morte, secondo i dettami della
Sharia iraniana, ci sono anche torture, amputazioni degli arti, fustigazioni e
altre punizioni crudeli, disumane e degradanti. Non si tratta di casi isolati e
avvengono in aperto contrasto con il Patto Internazionale sui Diritti Civili e
Politici che l’Iran ha ratificato e queste pratiche vieta. Migliaia di ragazzi
subiscono ogni anno frustate per aver bevuto alcolici o aver partecipato a
feste con maschi e femmine insieme o per oltraggio al pubblico pudore. L’Iran è
diventato uno dei clienti più attivi nell’acquisto di strumenti di censura
della rete e ha bloccato circa cinque milioni di siti che trattano di arte,
questioni sociali, notizie, di blog e social network.
Il 18 dicembre 2014, l’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite ha approvato una Risoluzione che esprime profonda preoccupazione per
l’“allarmante frequenza” dell’uso della pena di morte in Iran, tra cui le
esecuzioni pubbliche, le esecuzioni di gruppo segrete e la pratica della pena
di morte nei confronti di minori e persone che al momento del reato avevano
meno di 18 anni, in violazione degli obblighi della Repubblica Islamica verso
la Convenzione sui Diritti del Fanciullo e il Patto Internazionale sui Diritti
Civili e Politici. Le Nazioni Unite hanno inoltre condannato l’imposizione
della pena di morte per reati che non hanno una definizione precisa ed
esplicita, tra cui Moharebeh (inimicizia contro Dio), e per reati che non si
qualificano come i crimini più gravi, in violazione del diritto internazionale.
La Risoluzione ha anche criticato l’uso della tortura e di trattamenti o
punizioni crudeli, inumani o degradanti, tra cui la fustigazione e
l’amputazione.
Quanto su descritto valga da promemoria per tutte le
autorità del nostro Paese che il 14 e il 15 novembre riceveranno il Presidente
iraniano Hassan Rouhani che ha scelto Roma come prima capitale europea da
visitare, indicando nell’Italia la “porta d’ingresso” verso l’Occidente.
Ai massimi rappresentanti dello Stato italiano,
riconosciuto da tutti nel mondo come il campione della battaglia per la
Moratoria Universale delle esecuzioni capitali e per l’istituzione del
Tribunale Penale Internazionale, chiediamo di porre la questione della pena di
morte e più in generale del rispetto dei Diritti Umani al centro di ogni
incontro e intesa con rappresentanti della Repubblica Islamica dell’Iran, a
partire dal suo Presidente Rouhani.
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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH
ROMA: PRESENTATA LA CAMPAGNA @MOVINGRIGHTS4IRAN CON
#DITELOAROUHANI
13 novembre 2015: una pagina Facebook
(@MovingRights4Iran), un hashtag su Twitter (#DiteloaRouhani), una lettera
aperta ai massimi responsabili dello Stato Italiano e una manifestazione domani
(14 novembre) dalle 10 alle 14 a piazza del Popolo per chiedere che le autorità
che sabato e domenica incontreranno il presidente iraniano Hassan Rohani a Roma
mettano in agenda la questione della pena di morte e del rispetto dei diritti
umani nella Repubblica Islamica. Sono queste le iniziative presentate oggi a Roma
da Nessuno tocchi Caino ed Equality Italia, oltre che da Partito Radicale,
Associazione Luca Coscioni, A Buon Diritto, Arci, ArciGay, Radicali Italiani,
Certi Diritti, ArciLesbica, Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili,
Eraonlus, Non c'è Pace senza Giustizia, Lega Italiana dei Diritti Umani, Hope,
GaiaItalia.com, Comitato Helsinki, We Are What We Do.
Nella pagina Facebook @MovingRights4Iran e sull'account
di Twitter con l'hashtag #DiteloaRouhani sono raccolte storie di dissidenti e
oppositori politici in carcere, ma anche di poeti condannati a essere frustrati
per ''insulto al sacro'' o di una vignettista finita dietro le sbarre e
umiliata con un test di verginità per aver ritratto i parlamentari di Teheran
con un volto animale. Perché in Iran sono ancora in vigore ''punizioni
degradanti e disumane, fustigazioni, amputazione degli arti, torture'',
sottolinea Elisabetta Zamparutti, rappresentante per l'Italia al Consiglio
d'Europa nel Comitato per la prevenzione della tortura.
''Dall'elezione di Rohani alla presidenza iraniana nel
giugno del 2013 le esecuzioni in Iran sono triplicate, con duemila giustiziati,
tra cui minorenni e donne - spiega Sergio D'Elia, segretario di Nessuno tocchi
Caino – Non bastera' la solita formula 'siamo preoccupati', ne' un richiamo
generico, ma occorre fare una lista precisa delle gravi violazioni dei diritti
umani in Iran, una minaccia quotidiana e concreta nei confronti del popolo
iraniano, e ricordarci che gli affari duraturi si fanno con un Paese
sostenibile e non con uno illiberale come l'Iran dove ogni accordo deve essere
approvato dalla Guida suprema, l'Ayatollah Ali Khamenei, ed è condizionato dal
via libera dei Pasdaran''. "Gli accordi commerciali non sono incompatibili
con i diritti umani. Gli uni servono agli altri se procedono di pari
passo".
Inoltre, aggiunge d'Elia, ''l'Iran continua a voler
cancellare Israele dalla mappa. Se questa questione non viene sollevata negli
accordi, allora nulla è credibile''.
In Iran è in atto un ''processo di annientamento dei
diritti umani'', interviene Zamparutti, che ricorda che ''al 15 ottobre sono
state compiute almeno 845 esecuzioni e si arriverà a superare le mille
quest'anno. Almeno 560 sono state le esecuzioni per reati di droga, l'89 per
cento del totale mondiale, anche se le Nazioni Unite non considerano
'legittima' in base al diritto internazionale l'applicazione della pena di
morte per i reati legati alla droga''.
Zamparutti ricorda poi l'attacco del 29 ottobre ''con 80
missili a Camp Liberty vicino a Baghdad, dove sono ospitati duemila rifugiati,
membri della Resistenza Iraniana. “Ne sono morti 24, ma non c'è stata alcuna
reazione da parte del nostro governo''.
Inoltre, afferma Aurelio Mancuso di Eqaulity Italia, in
Iran ''dal 1979 sono stati uccisi quattromila omosessuali''. Esiste un
''diritto di fare accordi, ma anche un dovere di sottolineare la necessità di
uno stato di diritto in Iran'', ha concluso Nariman Ardalani, rappresentante
della Resistenza Iraniana.
ARABIA SAUDITA: ALTRE CINQUE DECAPITAZIONI
13 novembre 2015: altri cinque prigionieri sono stati
decapitati in Arabia Saudita negli ultimi giorni.
Tre cittadini iraniani sono stati giustiziati l’8
novembre dopo essere stati riconosciuti colpevoli di traffico di droga. Lo ha
reso noto il Ministero degli Interni saudita, secondo cui i tre avrebbero
tentato di “introdurre nel Paese un’ingente quantità di hashish attraverso il
mare”. Le esecuzioni dei tre iraniani sono state effettuate nella città portuale
orientale di Dammam.
Un altro uomo è stato decapitato il 9 novembre per aver
ucciso un poliziotto. Lo ha comunicato il Ministero degli Interni, secondo cui
Ayed al-Jahdali – cittadino saudita – avrebbe sparato ad un poliziotto che
procedeva al suo arresto per traffico di droga. L’esecuzione dell’omicida è
stata effettuata nella regione occidentale di Makkah.
Il 12 novembre, un uomo è stato decapitato dopo essere
stato riconosciuto colpevole di omicidio. Lo ha reso noto sempre il Ministero
degli Interni, identificando il giustiziato come Nasser al-Qahtani, cittadino
saudita che era stato condannato a morte per aver ucciso con arma da fuoco un
connazionale.
Con quest’ultima decapitazione, giungono a 147 le persone
giustiziate in Arabia Saudita da inizio anno, sulla base di un conteggio tenuto
dalla Afp. Nel 2014 i prigionieri messi a morte nel Regno sono stati 87.
USA: PUBBLICATA L’ULTIMA EDIZIONE DELL’UNIFORM CRIME
REPORT
6 novembre 2015: il Federal Bureau of Investigation (FBI)
ha pubblicato il suo tradizionale “Rapporto sulla criminalità” negli Stati
Uniti, con i dati aggiornati al 2014.
Si tratta dei dati raccolti da oltre 18.000 corpi di
polizia locale e nazionale, e copre circa 318 milioni di abitanti, compresi 3,5
milioni di Puerto Rico.
Nel "Crime in the United States, 2014" si
rileva che il tasso di omicidi negli Usa rimane lo stesso dello scorso anno:
4,5 omicidi ogni 100.000 abitanti. Si tratta di un leggero ma costante calo
rispetto agli anni precedenti: nel 2012 e nel 2011 era 4,7. Il tasso era 4,8
nel 2010, 5,0 nel 2009, 5,4 nel 2008, 5,7 nel 2007 5,8 nel 2006, fino alla
prima rilevazione del 1993 che era del 9,5.
Come numero totale, gli omicidi (esclusi gli omicidi
colposi) nel 2014 sono stati 14.249.
Nel 2013 erano stati 14.319 (questo dato è stato corretto
rispetto al rapporto dello scorso anno, che lo stimava in 13.716 rilevati,
aumentati a 14.196 stimando una percentuale di omicidi sfuggiti al computo
ufficiale. Nel 2012 erano stati 14.349. Rispetto al 2013 gli omicidi sono
calati dello 0,5%. Nel corso degli ultimi 5 anni invece gli omicidi sono calati
del 3,2%, e del 14,9% nel corso degli ultimi 10 anni. Non si può non notare che
il calo degli omicidi è avvenuto mentre nel paese calavano le esecuzioni: dal
2014 al 2013 le esecuzioni sono calate del 10,2%, rispetto agli ultimi 5 anni
del 23%, e rispetto agli ultimi 10 del 41%.
Ai 14.249 omicidi propriamente detti devono essere
aggiunti i cosiddetti “omicidi giustificati”, ossia quelli compiuti dalla
polizia nello svolgimento delle proprie funzioni, o da privati cittadini per
quella che viene considerata legittima difesa. La polizia nel 2014 ha ucciso
444 persone (461 nel 2013, 410 nel 2012). Privati cittadini hanno ucciso,
rispettando la legge, 277 persone (281 nel 2013, 310 nel 2012).
Il dato degli omicidi compiuti dalla polizia è stato
contestato nei mesi scorsi da alcune banche dati online compilate da volontari
(tra cui “Fatal Encounters” e “Killed by Police”) che stimano in circa 1.100
l’anno le vittime della polizia. Il FBI riconosce l’incompletezza dei propri
dati, spiegata dal fatto che le polizie locali non hanno l’obbligo di fornire
tutti gli aggiornamenti relativi a questo tipo di “crimine”. Il rapporto divide
gli Usa in 4 zone. Il tasso di omicidi più basso (3,3 casi ogni 100.000
abitanti) si registra nel Northeast (Connecticut, Maine, Massachusetts, New
Hampshire, New Jersey, New York, Pennsylvania, Rhode Island, Vermont,). L’anno
scorso il tasso del NE era del 3,5. Il secondo tasso più basso (3,9) si
registra nel West (Alaska, Arizona, California, Colorado, Hawaii, Idaho,
Montana, Nevada, New Mexico, Oregon, Puerto Rico, Utah, Washington, Wyoming).
Nel 2013 era 4,0. Il terzo tasso (4,3) è quello del Midwest (Illinois, Indiana,
Iowa, Kansas, Mi chigan, Minnesota,
Missouri, Nebraska, North Dakota, Ohio, South Dakota, Wisconsin). Era 4,6 nel
2013. Il tasso di omicidi più alto (5,5) è quello del Sud (Alabama, Arkansas,
Delaware, District of Columbia, Florida, Georgia, Kentucky, Louisiana,
Maryland, Mississippi, North Carolina, Oklahoma, South Carolina, Tennessee,
Texas, Virginia, West Virginia). Era 5,3 nel 2013, e ancora 5,5 nel 2012.
Come è noto, il Northeast è la zona degli Usa dove il
ricorso alla pena di morte è tradizionalmente molto minore rispetto alle altre
aree del paese. È una costante che in epoca moderna il Nordest registri la più
bassa percentuale di omicidi del paese. Discorso opposto per il Sud, che da
solo registra l’82% delle esecuzioni Usa, ma continua ad avere il più alto
tasso di criminalità violenta del paese.
Secondo una aggregazione di dati realizzata dal Death
Penalty Information Center, nel complesso gli stati che non utilizzano la pena
di morte hanno un tasso omicidiario del 3,8 mentre gli stati che la usano sono
al 4,7. Gli stati senza pena di morte hanno cioè un tasso di omicidi che è del
22% più basso rispetto agli stati con la pena di morte. Gli stati con il tasso
di omicidi più alto sono Puerto Rico (isola caraibica considerato territorio
USA) con il 19.2, il Distretto di Columbia (la parte centrale della città di
Washington) con 15.9, la Louisiana (10.3) e il Mississippi (8.6). I tassi più
bassi sono in New Hampshire (0,9) Maine, Minnesota e Vermont (1,6). Nel
complesso nella nazione si stima siano avvenuti 1.165.000 reati violenti.
Rispetto al 2013 la diminuzione è dello 0,2%. Nell’arco degli ultimi 5 anni la
diminuzione dei reati violenti è stata del 6,9%, mentre negli ultimi 10 anni
del 16,2%.
Nel 2014 le forze dell’ordine stimano siano stati arrestate
poco più di 11,2 milioni di persone, esclusi gli arresti per violazioni
stradali ma inclusi gli arresti per “DUI”, ossia guida sotto l’influsso di
alcolici o droga. Il numero maggiore di arresti, oltre 1,5 milioni, è stato per
reati di droga, 1,2 per furto, e 1,1 per guida “DUI”. Per omicidio sono state
arrestate più di 10.571 persone.
Dividendo il numero complessivo di arresti per la
popolazione degli Stati Uniti, si ha un tasso di 3,5 arresti ogni 100 abitanti.
Lo studio del Fbi calcola che nello stato nel 2014 siano
stati “risolti” il 64,5% degli omicidi, il 47,4% del complesso dei reati
violenti e il 20,2% dei reati contro la proprietà. Nel complesso degli arresti,
il 73,3% ha riguardato maschi, il 69,4% persone di razza bianca (compresi gli
ispanici), il 27,8% persone di razza nera, e il 2,8% persone di altre minoranze
razziali. Nel 2013, 23 agenti di polizia sono stati uccisi in servizio. Non è
stato ancora pubblicato il Law Enforcement Officers Killed and Assaulted
relativo al 2014 che riporterà il numero di agenti di polizia uccisi in
servizio nel 2014.
Per tutti i dati sopra riportati lo Uniform Crime Report
fornisce un’ampia serie di dati, comprese le suddivisioni per fascia di età,
sesso e razza di vittime e arrestati, e anche una interessante serie di tabelle
che studia la relazione tra vittima e arrestato. UCR fornisce anche il numero
totale di agenti di polizia in servizio nei vari corpi del paese, il media 2,3
poliziotti ogni 1.000 abitanti, che salgono a 3,4 se si comprendono anche gli
impiegati presso i corpi di polizia. Ad esempio, gli agenti di polizia sono
all’88% maschi, mentre gli impiegati di polizia sono al 60% femmine. Secondo i
dati ufficiali contenuti nel rapporto Prisoners in 2014 (NCJ 248955), alla data
del 31 dicembre 2014 nelle carceri federali e statali degli Stati Uniti erano
detenute 1,561,500 persone. Secondo un altro rapporto ufficiale aggiornato però
al 31 dicembre 2013 (Correctional Populations In The United States, 2013) altre
730.000 persone sarebbero detenute nelle carceri locali. (Come è not o, negli Stati Uniti si usano due termini
diversi: PRISON è il carcere statale o federale, JAIL è il carcere locale). Il
numero di detenuti registrati nel 2014 è inferiore dell’1% rispetto al 2013, ed
è il più basso negli ultimi 10 anni. Il calo è attribuito in maggior parte ad
una serie di sconti di pena che il sistema federale sta gradualmente applicando
a chi ha pena alte per reati non violenti legati alla droga.
La popolazione detenuta è composta da 516,900 maschi neri
(37%), 453,500 maschi bianchi (32%), e 308,700 maschi ispanici (22%). Il 7%
della popolazione detenuta è composta da donne. Tra loro, il 50% è bianco, il
21% nero. Confrontando questi numeri con il totale della popolazione, quasi il
3% dei maschi neri sono in carcere con pene superiori ad 1 anni, l’1% dei
maschi ispanici, e lo 0,5% dei maschi bianchi. Un maschio nero ha circa 7 volte
più probabilità di finire in carcere rispetto ad un maschio bianco, e circa 2,3
volte più probabilità rispetto ad un maschio ispanico.
Il 50% dei detenuti nelle carceri federali e il 16% nelle
carceri statali è stato condannato per reati di droga. Tra gli ispanici, il 26%
è stato condannato per reati legati all’immigrazione. 131.000 detenuti
provenienti da 30 stati e dal circuito federale sono tenuti in carceri gestite
da privati. Il numero è di 2.100 unità inferiore all’anno precedente. Il
rapporto Prisoners in 2014 (NCJ 248955) non contiene i dati sulle prigioni
locali. In un rapporto più completo del 2013 (“Correctional Populations In The
United States, 2013”) ai 1.560.000 detenuti nelle carceri federali e statali
andrebbero aggiunti oltre 730.000 detenuti nelle carceri locali, 3.9 milioni
sottoposti a controlli periodici (libertà vigilata), e oltre 850.000 persone in
libertà condizionale. Entrambe questi rapporti sono a cura del BJS (Bureau of
Justice Statistics), un’agenzia federale.
PAKISTAN: IMPICCATO PER OMICIDIO A BAHAWALPUR
12 novembre 2015: un detenuto è stato impiccato la
mattina presto nel Nuovo Carcere Centrale di Bahawalpur, ha riportato l’agenzia
Dunya News.
Si tratta di Nadeem alias Nadeemi Pathan, che era stato
riconosciuto colpevole dell’omicidio di Mir Zaheerul Hassan Tirmizi, commesso
nel 1997. Il corpo di Nadeem – che era membro di un’organizzazione fuorilegge –
è stato riconsegnato alla sua famiglia.
Dal 17 dicembre 2014, quando si è conclusa la moratoria
di fatto sulla pena capitale, almeno 293 persone, tra cui ventisei condannati
per terrorismo, sono state impiccate in varie prigioni del Pakistan.
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