CARAVAGGIO-RAGAZZO MORSO DA UN RAMARRO-FONDAZIONE LONGHI
FIRENZE
Ragazzo morso da un ramarro è il soggetto di un dipinto realizzato dal pittore italiano Michelangelo Merisi da Caravaggio e di cui esistono due versioni simili.
La prima versione, realizzata su tela tra il 1595 ed il 1596 e conservata presso la Fondazione Longhi a Firenze, è senza dubbio opera autografa di Caravaggio.
La seconda, realizzata su tela tra il 1595 e il 1600 (e comunque successiva alla precedente) è conservata presso la National Gallery di Londra. Quest'ultima opera è stata acquisita dal Museo attraverso il contributo della Fondazione J. Paul Getty Jr. nel 1986.
Non è ancora chiaro quando e presso chi il dipinto venne realizzato. Giulio Mancini afferma che l'opera venne realizzata quando il pittore abitava in casa di monsignor Pandolfo Pucci, mentre Giovanni Baglione precisa che fu dipinta quando Merisi lasciò la bottega di Cavalier D'Arpino, nel tentativo di “mettersi in proprio”. L'opera sarebbe dunque riconducibile al periodo precedente l'ingresso di Caravaggio in quel vasto entourage del cardinale Francesco Maria del Monte, e dunque sarebbe databile attorno al 1598, quando è documentata l'iscrizione di Caravaggio al "rolo" del cardinale. Più evidente, invece, l'interesse che in questo periodo il pittore nutre per la rappresentazione dei moti dell'animo - i cosiddetti "affetti"- che gli veniva direttamente dallo studio (probabilmente già iniziato in Lombardia) dell'opera di Leonardo da Vinci, dei suoi schizzi e del suo Trattato di Pittura, in cui si descrivono “vari accidenti e movimenti dell'uomo e proporzioni di membra". In questo senso, avevano larga importanza gli studi di fisiognomica, il cui fine precipuo era quello di studiare i caratteri psicologici e morali di una persona analizzandone l'aspetto fisico e, in particolare, i lineamenti. Tuttavia, a orientare gli artisti nella rappresentazione degli "affetti" sono soprattutto i fogli di caricature e di raffigurazioni del grottesco: un genere praticato non solo da Leonardo, ma anche da Michelangelo e più tardi dai Carracci. Le caricature avevano il compito non solo di alterare in forma comica i connotati della persona, ma anche di mostrare emozioni e sensazioni.In quest'opera, Caravaggio mostra, come in un "fotogramma", la raffigurazione di una reazione all'orrore che un giovane prova di fronte al morso di un ramarro sbucato dai fiori e frutti.
Quest'opera raffigura un ragazzo morso da una lucertola che sbuca dai fiori e dai frutti in cui era nascosta. Il riferimento sembra essere proprio al piacere e alle pene d'amore, come la scelta del modello effeminato, con una rosa tra i capelli e la spalla destra scoperta sembrerebbero suggerire. Le ciliegie appaiate sarebbero, infatti, un simbolo sessuale, così come il gelsomino bianco alluderebbe al desiderio, mentre la rosa fra i capelli del giovane effeminato sarebbe un riferimento all'amore. Il dipinto risentirebbe, dunque, del clima culturale ed edonistico che si respirava a Palazzo Madama alla corte del cardinale Francesco Maria del Monte, che amava festini con giovani effeminati, vestiti all'antica, che si esibivano in rappresentazioni teatrali e musicali. Anche il ramarro e la morsicatura sono stati oggetto di molteplici letture allegoriche, talvolta piuttosto ardite e scientificamente poco motivate. Tra queste, quella del romanziere australiano Peter Robb, secondo cui il ramarro sarebbe allegoria del pene, e quella di Andrew Graham Dixon, secondo cui il dito della mano sarebbe simbolo del fallo leso, o meglio, della castrazione, procurata dalla bocca sdentata del ramarro, trasformata stavolta in una sorta di vagina dentata, che punisce l'eccesso di libidine.
Nel dipinto sono particolarmente curati gli effetti luministici: la luce che penetra da una finestra, si riflette nel vaso e attraversa l'acqua e la boccia di cristallo. Con ogni probabilità, Caravaggio era a conoscenza degli studi di Giovanni Paolo Lomazzo, ed in particolare del suo Trattato dell'arte della pittura, nel quale vi è un fondamentale capitolo intitolato "De gli effetti che partorisce lo lume nei corpi acquei". In questo capitolo, Lomazzo esamina le diverse qualità della luce riflessa nei liquidi (come nel caso della brocca nel dipinto in questione). Significativamente, il cardinal Del Monte condivideva con Caravaggio la passione per le lenti, i vetri, gli specchi e, più in generale, per l'ottica, di cui il fratello scienziato Guidubaldo Del Monte era uno studioso.
Nel dipinto, la luce entra in campo come un lampo nel buio ed è una luce ortogonale, che non viene dall'alto, ma da una sorgente al di fuori della scena dipinta; essa colpisce la brocca d'acqua in linea retta e senza produrre deflessione, come del resto è possibile notare osservando gli steli recisi dei fiori che sono, appunto, ritti.
Per ciò che riguarda la tecnica pittorica, le indagini diagnostiche sul dipinto presso la Fondazione Longhi hanno evidenziato una stesura preparatoria bruno-verdastra che è lasciata a vista lungo i contorni della spalla sporgente, intorno ai capelli neri e sul fondo in più punti; mentre sul volto si trovano le lunghe e ripetute volute del pennello alla ricerca dell'amalgama giusta per l'incarnato, secondo un sistema già sperimentato, forse all'epoca dell'apprendistato con il Peterzano. Bellissimo è l'andamento verticale delle rughe della fronte che, assieme alla tensione nervosa della mano, alla lacrima che si intravede all'angolo dell'occhio destro, alla sottile lamina umida della lingua, suggeriscono visivamente una reazione psicologica che unisce, allo stesso tempo, l'orrore, il dolore, e la sorpresa.
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