martedì 27 dicembre 2016

ANDREA DEL CASTAGNO-LA TRINITA'-BASILICA DELLA SANTISSIMA ANNUNZIATA

 FIRENZE

La Trinità e santi (Apparizione della Trinità ai santi Girolamo, Paola ed Eustochia) è un affresco (285x173 cm) di Andrea del Castagno, datato 1453-1454 e conservato nella basilica della Santissima Annunziata a Firenze.
L'affresco fu dipinto per Gerolamo Corboli (da cui la presenza di san Girolamo) poco dopo il San Giuliano nella cappella attigua ed i perduti affreschi di Sant'Egidio.
Dell'affresco si persero le tracce nel XVI secolo e fu riscoperto in epoca relativamente recente. Con il passaggio della cappella alla famiglia Caiani da Montauto nel 1553 venne infatti coperto dalla pala d'altare con il Giudizio universale di Alessandro Allori e solo nel 1899 Brockhaus, confrontando le due edizioni delle Vite del Vasari (rispettivamente del 1550 e del 1568) notò la differenza nella descrizione della cappella e fece rimuovere il dipinto dell'Allori, facendo ritrovare l'affresco di Andrea del Castagno.
Nel 1937 l'affresco fu pulito e ridipinto in alcune lacune della zona inferiore. Nel 1967, dopo l'alluvione, è stato strappato e restaurato; in quell'occasione si ritrovò la sinopia dei tre santi, che venne a sua volta staccata.
La scena si può dividere in due sezioni: una superiore con la poderosa raffigurazione della Trinità, scorciata in profondità come nessun artista aveva mai fatto prima; una inferiore con i tre santi che assistono alla visione.
L'iconografia è rara e di particolarmente complessa identificazione. Per Rice si tratterebbe di un'interpretazione del "Gnadenstuhl" (trono di misericordia), che vorrebbe sottolineare la devozione al Crocifisso delle compagnie di San Girolamo. La presenza di Eustochia sarebbe legata a una lettera apocrifa attribuita a Gerolamo stesso ed indirizzata alla santa.
Particolare enfasi è posta su san Girolamo, dietro la cui testa si cela il punto di fuga dell'intera composizione. La sua figura, riconoscibilissima per la presenza del leone, per il sasso nella mano destra con cui era solito percuotersi il petto in segno di penitenza e per il cappello cardinalizio gettato in terra, è di una potenza fisica straordinaria, con una linea di contorno vibrante e nervosa, che evidenzia espressivamente la sua figura, tanto che alcuni hanno parlato di "esasperazione realistica". La sua veste, come la mantella di sant'Eustochia a destra, è sbalzata dal chiaroscuro come se si trattasse di un rilievo marmoreo. Nei manti la luce si impasta col colore, con effetti di accentuato luminismo.
Il Cristo è raffigurato con un'anatomia perfetta, difficilmente eguagliata nel Quattrocento, e l'ardito scorcio in profondità risulta convincente grazie alla coerente rotazione della sua figura e di quella del Padre nello spazio, che mostrano così allo spettatore i lati superiori della testa, delle spalle e delle braccia.
Alcuni hanno indicato come punto di riferimento la scultura dell'epoca, in particolare Donatello, che era da poco tornato da Padova, oppure il San Girolamo penitente di proprietà della Confraternita di San Girolamo e San Francesco Poverino di Firenze, opera di incerta attribuzione, forse di Antonio del Pollaiolo o addirittura di Andrea de Castagno.
Per via delle differenze anche stilistiche tra i due disegni si è arrivati a pensare che la sinopia sia opera di un altro artista, di cui Andrea del Castagno fu chiamato a continuare l'opera interrotta, che venne ripensata su cartone prima di procedere all'affresco vero e proprio.

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