venerdì 31 agosto 2018
STORIE DI UN MONDO ANTICO
di guido michi
10° PARTE
TRA STORIA E
FANTASIA
Era
all'incirca l’anno 1963, le scuole terminate ed i risultati pubblicati negli
appositi cartelloni. La tanto attesa e sperata parolina “PROMOSSO” accanto al
mio nome. La primavera era agli sgoccioli e stava già scoppiando un’estate che
si preannunciava particolarmente calda. Come tutti gli anni il nostro
professore di Costruzioni ci aveva dato un compito per le vacanze estive
lasciando alla nostra scelta il tema da trattare. Io avevo scelto le ville
antiche sulle colline di Firenze. La mattina preannunciava una giornata piuttosto
calda, il cielo era terso, di un azzurro quasi abbagliante le rondini numerose
svolazzavano alte in cerca del loro cibo preferito-insetti- al che decisi di
anticipare i tempi per realizzare il compito che avevo scelto. Mi armai della
mia macchinetta fotografica a fuoco fisso e con l’autobus mi diressi verso il
PIAZZALE MICHELANGELO che gli antichi chiamavano MONS FLORENTINUS.
Giunto allo
chalet FONTANA pensando che quello fosse un luogo adatto per la mia ricerca
scesi dal bus ed indeciso se prendere la stradina che scende verso il Forte di
San Giorgio meglio conosciuto come forte Belvedere o le stradine che salgono
verso Arcetri dove si trova il celebre osservatorio astronomico e nelle cui
vicinanze c’è la dimora di GALILEO GALILEI nel periodo dell’esilio a seguito
delle note vicende che lo videro coinvolto con la chiesa cattolica e che poi
divenne la sua ultima dimora terrena.
Decisi di
salire e mi inoltrai in una stradina
stretta pavimentata con un lastricato sconnesso dal tempo e dalle intemperie.
Era incassata tra due muri che avevano l’intonaco scrostato in molti punti, era
in leggera, dolce e costante pendenza. Fatti alcuni passi mi rigirai ed allora
si mostrò ai miei occhi uno spettacolo di stupefacente bellezza. Il cielo era
di un azzurro intenso anche se mostrava alcune leggerissime venature
biancastre, sulla sinistra si stagliava la grossa ed elegante mole del Forte di
Belvedere ed accanto più in basso cominciava ad apparire il rosso della
copertura della cupola del Brunelleschi con accanto il campanile di Giotto, il
mio sguardo continuò fino ad incontrare l’elegante forma della torre di Arnolfo
che caratterizza Palazzo vecchio, di fronte a tanta bellezza non potei fare a
meno di scattare alcune foto.
Il Forte di
SAN GIORGIO o BELVEDERE fu fatto realizzare dal terzo GRAN DUCA di TOSCANA
FERDINANDO I DE’ MEDICI tra il 1590 ed il 1595.
Lo spostamento definitivo della corte granducale da
Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti, avrà certamente influenzato la decisione di
realizzare la nuova fortezza a ridosso delle mura che circondavano il giardino
di Boboli contiguo a Palazzo Pitti. Il principe e la corte avrebbero raggiunto,
in caso di pericolo interno, in velocità e sicurezza un rifugio fortificato da
dove si poteva dominare la città.
Il diarista fiorentino Agostino Lapi così lasciò
scritto in data 28 ottobre 1590: “… si
murò la prima pietra del fondamento primo della nuova muraglia e maravigliosa
fortezza, posta sopra Porta San Giorgio…nell’Orto de’Pitti li inventori e li
architettori principali furono il signor Giovanni figlio del Granduca Cosimo e
Messer Bernardo Buontalenti di ingegno elevatissimo”.
Per la realizzazione quindi di questa formidabile
fortezza “a guardia della città e del palazzo” il Granduca Ferdinando si
rivolse a due architetti esperti nelle fortificazioni: Bernardo Buontalenti e
Don Giovanni de’ Medici, fratellastro dello stesso Granduca. La coppia,
assistita da Alessandro Pieroni, lavorerà al progetto e con difficoltà siamo in
grado di stabilire a chi concedere un ruolo primaziale.
Sappiamo, da un disegno dell’epoca, che la
fortificazione doveva essere ancora più complessa con una serie di bastioni e
tenaglie pronti a inglobare le antiche mura e le difese più recenti per rendere
ancora più efficace la difesa dall’esterno. Comunque la spettacolare
struttura messa in atto sulla sommità del colle di Boboli ancora impressiona
per potenza e eleganza.
La caratteristica pianta stellare, prevista dalla
trattatistica per le fortezze poste in luoghi con accentuate variazioni
altimetriche, è definita con cinque bastioni dei quali due rivolti verso la
città (con i nomi suggestivi di Boboli e Le Monache) con al centro un
contrafforte triangolare detto la Diamantina, e gli altri tre posti a difesa di
Firenze ( chiamati La Pace, Casin Interno e San Giorgio) verso le colline di
San Miniato e Arcetri.
E’ importante sottolineare come la palazzina, forse di
disegno ammanatiano, fosse preesistente alla realizzazione del forte che la
ingloba e che rappresentasse un reale “belvedere” ad uso della corte
granducale. La palazzina divenne il centro di comando della fortezza e nei
suoi sotterranei venne realizzata una vera e propria camera “blindata” in grado
di tenere al sicuro, grazie a una serie di accorgimenti e trabocchetti, il
tesoro di stato. Per secoli il Forte del Belvedere ha assolto alla sua
funzione militare, senza peraltro subire attacchi né esterni né interni.
FINE DECIMA PARTE
MICHELANGELO POETA
Riprendiamo la rubrica dedicata a MICHELANGELO POETA, ed alla poesia prescelta abbiniamo un piccola e non tanto conosciuta opera del BUONARROTI, “LA MADONNA DELLA SCALA” collocata nello straordinario museo “CASA BUONARROTI A FIRENZE”.
L'opera è menzionata per la prima volta nell'edizione del 1568 delle Vite di Giorgio Vasari, come in casa di Lionardo Buonarroti, nipote di Michelangelo, il quale la donò poi nel 1566 a Cosimo I de' Medici. Nel 1616 i Granduchi la restituirono alla famiglia, restando da allora nel loro palazzo familiare in via Ghibellina, che oggi ospita il museo di Casa Buonarroti.
Superate ormai le ipotesi che collocavano la lastra a non prima del 1495, l'opera è oggi considerata come il primo lavoro pervenutoci di Michelangelo, databile al 1491 circa.
L'opera è un evidente omaggio allo stiacciato di Donatello, come annotò anche Vasari, sia nella tecnica che gradua i piani con variazioni millimetriche di spessore, sia nell'iconografia, a partire proprio dal motivo della scala con gradini pronunciati e corrimano in scorcio, visibile ad esempio nel Banchetto di Erode a Lilla, che sfondano spazialmente aprendo una via di drammatica fuga prospettica.
La figura della Madonna, seduta sopra un masso squadrato e vista di profilo mentre guarda lontano, occupa tutta l'altezza del rilievo, da un margine all'altro, con una severità e una monumentalità che ricorda le steli classiche. Molto originale è la composizione del gruppo sacro, al tempo stesso bloccato e dinamico, con la Vergine col busto eretto e lo sguardo fisso lontano, in attitudine profetica, mentre solleva un lembo della veste per allattare o proteggere il figlio assopito, e genera un movimento spirale grazie alla disposizione a contrapposto degli arti: Gesù ha infatti un braccio lasciato andare dietro la schiena e Maria arriva ad intrecciare i piedi, mostrando la pianta del destro e rompendo la staticità del piano liscio del bassorilievo. La mano destra del Bambino girata in fuori venne in seguito usata più di una volta dall'artista per simboleggiare l'abbandono del corpo nel sonno o nella morte, come nel Ritratto di Lorenzo de' Medici duca di Urbino o nella Pietà Bandini e si rifà all' Ercole Farnese (poiché per Michelangelo l'uomo è visto come Ercole).
Pronunciata è la muscolatura del Bambino e la presa di Maria, soprattutto con le grandi mani che, grazie al trattamento differenziato delle superfici, fanno apparire vigoroso un gesto semplice e quotidiano. Virtuoso è infine il ricadere del panneggio, soprattutto sul sedile cubico, del quale segue la forma con grande realismo.
A sinistra, sulla scala che dà il nome al rilievo, si vedono due putti appena sbozzati in atteggiamento di danza o di lotta e un altro che, sporgendosi sul corrimano, tende, insieme a una quarta figura posta dietro la Vergine, un drappo. Difficile è stabilire il significato di questa scena di sottofondo, forse un semplice esercizio di stile o un omaggio ai putti danzanti donatelliani.
g.m.
Di te me veggo e di lontan mi chiamo
per appressarm’al ciel dond’io derivo,
e per le spezie all’esca a te arrivo,
come pesce per fil tirato all’amo.
E perc’un cor fra dua fa picciol segno5
di vita, a te s’è dato ambo le parti;
ond’io resto, tu ’l sai, quant’io son, poco.
E perc’un’alma infra duo va ’l più degno,
m’è forza, s’i’ voglio esser, sempre amarti;
per appressarm’al ciel dond’io derivo,
e per le spezie all’esca a te arrivo,
come pesce per fil tirato all’amo.
E perc’un cor fra dua fa picciol segno5
di vita, a te s’è dato ambo le parti;
ond’io resto, tu ’l sai, quant’io son, poco.
E perc’un’alma infra duo va ’l più degno,
m’è forza, s’i’ voglio esser, sempre amarti;
INNO AL BARBARO PADANO ED AL BISCHERO NAPOLETANO
C'era una volta un BARBARO PADANO ed un BISCHERO NAPOLETANO.
vivevano alla grande, viaggiavano, mangiavano scialacquavano a tutto spiano!🍸🍸🍸
Sulle spalle di chi?
Ovviamente del popolo italiano !😪😪😪
Avean promesso mari e monti, il paese del bengodi.
IL BARBARO PADANO
non più tasse, via lo stranier dal suolo Italiano!😂😂😂
IL BISCHERO NAPOLETANO
reddito per tutti...... ed invece ci troverem con un pugno di mosche in mano:😱😱😱:
QUESTA E' LA TRISTE STORIA DEL POPOLO ITALIANO
STRETTA LA FOGLIA LARGA LA VIA VOI DITE LA VOSTRA CHE IO HO DETTO LA MIA.
C'era una volta un BARBARO PADANO ed un BISCHERO NAPOLETANO.
vivevano alla grande, viaggiavano, mangiavano scialacquavano a tutto spiano!🍸🍸🍸
Sulle spalle di chi?
Ovviamente del popolo italiano !😪😪😪
Avean promesso mari e monti, il paese del bengodi.
IL BARBARO PADANO
non più tasse, via lo stranier dal suolo Italiano!😂😂😂
IL BISCHERO NAPOLETANO
reddito per tutti...... ed invece ci troverem con un pugno di mosche in mano:😱😱😱:
QUESTA E' LA TRISTE STORIA DEL POPOLO ITALIANO
STRETTA LA FOGLIA LARGA LA VIA VOI DITE LA VOSTRA CHE IO HO DETTO LA MIA.
STORIA REALMENTE ACCADUTA....
Storia realmente accaduta.nella civile(sic) TOSCANA «Salgo sul treno regionale Pisa-Firenze alle 13, insieme a me c’è un ragazzo molto alto, che mi si siede a fianco. Mentre si accosta al sedile, un ragazzo africano gli urta involontariamente il braccio e subito si volta per chiedergli scusa. Ma da quell’urto tutto degenera. Il ragazzo alto infatti reagisce gridando insulti al ragazzo africano. Lo offende, urlando dice: “Brucia vivo!”, “Muori!”. Offese pesanti, che mi vergogno a ripetere. Ho le cuffie alle orecchie, ma le urla sono talmente forti che sento le sue parole distintamente».
La giovane testimone racconta: «Di fronte a me è seduto un bambino, accanto c’è sua mamma, nei sedili dall’altra parte del corridoio sono seduti adulti, anziani e altri bambini. Nessuno interviene o si alza per avvisare il controllore. Sono scioccata, così mi levo le cuffie e parlo. Testualmente dico al ragazzo: “Smettila, ci sono dei bambini. Le tue idee tienile per te”».
Ma a quel punto, prosegue il racconto, «il bersaglio della sua violenza verbale divento io. Il vagone è sempre pieno di persone, ma anche in questo caso nessuno muove un dito, nessuno spreca una parola per difendermi. Sarebbe bastato un briciolo di umana solidarietà per zittirlo. Da Rifredi a Santa Maria Novella vengo insultata con le peggiori offese che mi siano mai state rivolte, ma rimango in silenzio, impietrita, mentre nel frattempo guardo negli occhi gli altri».
La giovane qui termina il racconto della sua disavventura. E' evidente che il peggior schiaffo che ha ricevuto non è stato quello delle offese di un ragazzo maleducato e violento, ma l’indifferenza di tutti gli altri. Poi riprende: «Mi sono sentita sola in una carrozza piena di persone. Dentro di me ho sentito forte l’istinto di intervenire per difendere un mio simile, che veniva umiliato e offeso ingiustamente. Come hanno fatto gli altri a rimanere immobili?»..
LA MORALE E': viviamo in un mondo indifferente ad ogni tipo di violenza, profondamente razzista e tutto sommato fatto di persone ignavie.
MALA TEMPORA CURRUNT
g.m.
giovedì 30 agosto 2018
GENTILE DA FABRIANO-L'ADORAZIONE DEI MAGI-GALLERIA DEGLI UFFIZI FIRENZE
L'Adorazione dei Magi è un dipinto a tempera e oro su tavola (173x228 cm con cornice 303x282) di Gentile da Fabriano, datato 1423 e conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze. L'opera è stata firmata sopra la predella: "OPVS GENTILIS DE FRABRIANO". Capolavoro dell'artista e del Gotico internazionale in Italia in generale, conserva l'elaborata cornice scolpita in legno dorato, in larga parte originale.
Nel catasto fiorentino del 1427, il primo della storia, Palla Strozzi risultava essere il cittadino più facoltoso della città. La pala d'altare di Gentile venne da lui commissionata non appena quest'ultimo giunse a Firenze (ospitato nelle stesse case degli Strozzi), nel 1420 ed era destinata alla nuova cappella nella basilica di Santa Trinita che Lorenzo Ghiberti stava terminando in quegli anni. Terminato tre anni più tardi, con l'aiuto dei pittori venuti al suo seguito quali Arcangelo di Cola da Camerino, Giovanni da Imola e Michele d'Ungheria[1], il dipinto era una felice espressione della cultura internazionale allora dominante, pur essendo già noti gli esperimenti "rinascimentali" di Masaccio e Brunelleschi. Si conosce il documento del saldo del pagamento, che era di per sé un notevole esborso, 150 fiorini d'oro. Molto si è discusso sulla scelta di Palla Strozzi, uomo colto, raffinato umanista e amante della cultura greca, di un'opera in stile internazionale piuttosto che un lavoro più all'avanguardia, nello stile rinascimentale. In realtà si deve tener conto della coesistenza di più di un tipo di gusto nella Firenze dell'epoca, dove il passaggio da uno stile all'altro non fu immediato.
Nel 1806, durante le soppressioni napoleoniche, la tavola venne spostata in un deposito, per venire poi trasferita nel 1810 alla Galleria dell'Accademia, per l'istruzione dei giovani allievi. Nel 1812 venne privato dello scomparto della predella con la Presentazione al tempio, che da allora si trova al Museo del Louvre (agli Uffizi è presente una copia). Nel 1919 la pala approdò alla galleria fiorentina.
Avvistamento della stella e partenza dei Magi
Il tema dell'adorazione dei Magi ben si prestava per una messa in scena sfarzosa e opulenta, che celebrasse la ricchezza del committente e la bravura dell'artista. Gentile si trovò a perfetto agio con la commissione, potendosi dedicare ad accostare più episodi minuti, sui quali lo spettatore è invitato a soffermarsi singolarmente, secondo il modello letterario offerto dalle ekphrasis bizantine, le descrizioni/interpretazioni di opere d'arte circolanti a Firenze almeno dal 1415. Il committente aveva infatti una vera e propria "passione bizantina", che manifestava acquistando codici antichi e studiando il greco con Emanuele Crisolora da Costantinopoli.
Il tema dell'adorazione dei Magi ben si prestava per una messa in scena sfarzosa e opulenta, che celebrasse la ricchezza del committente e la bravura dell'artista. Gentile si trovò a perfetto agio con la commissione, potendosi dedicare ad accostare più episodi minuti, sui quali lo spettatore è invitato a soffermarsi singolarmente, secondo il modello letterario offerto dalle ekphrasis bizantine, le descrizioni/interpretazioni di opere d'arte circolanti a Firenze almeno dal 1415. Il committente aveva infatti una vera e propria "passione bizantina", che manifestava acquistando codici antichi e studiando il greco con Emanuele Crisolora da Costantinopoli.
Il corteo dei Magi si dispiega su tutta la parte centrale del dipinto, sfruttando la forma tripartita nella parte alta per dare origine a più focolai d'azione, arricchiti da una miriade di dettagli naturalistici e di costume, che creano un effetto vibrante dove l'occhio dello spettatore si sposta da un particolare all'altro.
Vi è una grande profusione di applicazioni in oro e argento, nelle vesti, nei finimenti dei cavalli, dei cani da caccia, nelle corone, nelle spade e nei doni. I metalli, applicati in foglie sottilissime, venivano poi incisi a mano libera, punzonati o coperti da leggere velature, che creano un effetto di luce diffusa. Altre volte sono ottenuti effetti a rilievo tramite l'applicazione di "pastiglia" (gesso e colla) rivestita d'oro e di pigmenti.
Lo spazio prescinde da qualsiasi regola prospettica, nonostante la profondità della scena, con i personaggi che si sovrappongono in maniera caotica e festosa, creano un insieme irreale e fiabesco.
Grandissima abilità di Gentile è inoltre quella di riuscire a rendere l'idea della componente materica delle stoffe, la morbidezza degli incarnati, la freschezza della vegetazione.
GENTILE DA FABRIANO-L'ADORAZIONE DEI MAGI-GALLERIA DEGLI UFFIZI FIRENZE
L'Adorazione dei Magi è un dipinto a tempera e oro su tavola (173x228 cm con cornice 303x282) di Gentile da Fabriano, datato 1423 e conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze. L'opera è stata firmata sopra la predella: "OPVS GENTILIS DE FRABRIANO". Capolavoro dell'artista e del Gotico internazionale in Italia in generale, conserva l'elaborata cornice scolpita in legno dorato, in larga parte originale.
Nel catasto fiorentino del 1427, il primo della storia, Palla Strozzi risultava essere il cittadino più facoltoso della città. La pala d'altare di Gentile venne da lui commissionata non appena quest'ultimo giunse a Firenze (ospitato nelle stesse case degli Strozzi), nel 1420 ed era destinata alla nuova cappella nella basilica di Santa Trinita che Lorenzo Ghiberti stava terminando in quegli anni. Terminato tre anni più tardi, con l'aiuto dei pittori venuti al suo seguito quali Arcangelo di Cola da Camerino, Giovanni da Imola e Michele d'Ungheria[1], il dipinto era una felice espressione della cultura internazionale allora dominante, pur essendo già noti gli esperimenti "rinascimentali" di Masaccio e Brunelleschi. Si conosce il documento del saldo del pagamento, che era di per sé un notevole esborso, 150 fiorini d'oro. Molto si è discusso sulla scelta di Palla Strozzi, uomo colto, raffinato umanista e amante della cultura greca, di un'opera in stile internazionale piuttosto che un lavoro più all'avanguardia, nello stile rinascimentale. In realtà si deve tener conto della coesistenza di più di un tipo di gusto nella Firenze dell'epoca, dove il passaggio da uno stile all'altro non fu immediato.
Nel 1806, durante le soppressioni napoleoniche, la tavola venne spostata in un deposito, per venire poi trasferita nel 1810 alla Galleria dell'Accademia, per l'istruzione dei giovani allievi. Nel 1812 venne privato dello scomparto della predella con la Presentazione al tempio, che da allora si trova al Museo del Louvre (agli Uffizi è presente una copia). Nel 1919 la pala approdò alla galleria fiorentina.
Avvistamento della stella e partenza dei Magi
Il tema dell'adorazione dei Magi ben si prestava per una messa in scena sfarzosa e opulenta, che celebrasse la ricchezza del committente e la bravura dell'artista. Gentile si trovò a perfetto agio con la commissione, potendosi dedicare ad accostare più episodi minuti, sui quali lo spettatore è invitato a soffermarsi singolarmente, secondo il modello letterario offerto dalle ekphrasis bizantine, le descrizioni/interpretazioni di opere d'arte circolanti a Firenze almeno dal 1415. Il committente aveva infatti una vera e propria "passione bizantina", che manifestava acquistando codici antichi e studiando il greco con Emanuele Crisolora da Costantinopoli.
Il tema dell'adorazione dei Magi ben si prestava per una messa in scena sfarzosa e opulenta, che celebrasse la ricchezza del committente e la bravura dell'artista. Gentile si trovò a perfetto agio con la commissione, potendosi dedicare ad accostare più episodi minuti, sui quali lo spettatore è invitato a soffermarsi singolarmente, secondo il modello letterario offerto dalle ekphrasis bizantine, le descrizioni/interpretazioni di opere d'arte circolanti a Firenze almeno dal 1415. Il committente aveva infatti una vera e propria "passione bizantina", che manifestava acquistando codici antichi e studiando il greco con Emanuele Crisolora da Costantinopoli.
Il corteo dei Magi si dispiega su tutta la parte centrale del dipinto, sfruttando la forma tripartita nella parte alta per dare origine a più focolai d'azione, arricchiti da una miriade di dettagli naturalistici e di costume, che creano un effetto vibrante dove l'occhio dello spettatore si sposta da un particolare all'altro.
Vi è una grande profusione di applicazioni in oro e argento, nelle vesti, nei finimenti dei cavalli, dei cani da caccia, nelle corone, nelle spade e nei doni. I metalli, applicati in foglie sottilissime, venivano poi incisi a mano libera, punzonati o coperti da leggere velature, che creano un effetto di luce diffusa. Altre volte sono ottenuti effetti a rilievo tramite l'applicazione di "pastiglia" (gesso e colla) rivestita d'oro e di pigmenti.
Lo spazio prescinde da qualsiasi regola prospettica, nonostante la profondità della scena, con i personaggi che si sovrappongono in maniera caotica e festosa, creano un insieme irreale e fiabesco.
Grandissima abilità di Gentile è inoltre quella di riuscire a rendere l'idea della componente materica delle stoffe, la morbidezza degli incarnati, la freschezza della vegetazione.
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