mercoledì 30 novembre 2016
ARTEMISIA GENTILESCHI-GIUDITTA CON LA SUA ANCELLA-GALLERIA PALATINA
FIRENZE
Giuditta con la sua ancella è un dipinto a olio su tela (114x93,5 cm) di Artemisia Gentileschi, databile al 1618-1619 circa.
La critica è incerta sulla datazione del quadro, da collocarsi verosimilmente verso l'inizio del soggiorno di Artemisia a Firenze. L'impaginazione della scena presenta una stretta somiglianza con la Giuditta con la sua ancella conservata alla Galleria nazionale di Oslo, che alcuni storici dell'arte attribuiscono alla mano di Artemisia, altri a quella di suo padre Orazio.
La prima citazione certa risale all'inventario della Guardaroba di palazzo Pitti del 1637, come "un quadro su tela entro Juditvi con la sua compagna con la testa di Oloferne in una paniera di mano dell'Artemisia" (ASF, Guardaroba 525, c. 45).
Esistono copie antiche del dipinto nella Galleria Corsini di Firenze, a Palazzo Rosso a Genova e nella galleria Carpentier di Parigi.
In questa tela, dai toni marcatamente caravaggeschi, le due figure femminili di Giuditta e di Abra, la sua ancella, sono raffigurate da vicino, con un'inquadratura stretta, in una posizione quasi speculare; stanno immerse nell'ombra, illuminate da una luce, come di candela, che viene dalla loro sinistra.
Dopo aver dipinto la cruenta Giuditta che decapita Oloferne, oggi al museo di Capodimonte a Napoli, Artemisia ritornò sulla storia dell'eroina biblica che uccide il generale dell'esercito nemico, con un'opera di forte intensità drammatica e di grande sapienza narrativa.
La tela mostra l'istante in cui le due donne si apprestano a lasciare la tenda di Oloferne, con la paura di essere scoperte dai soldati assiri. Abra sostiene, come se fosse il bucato, la cesta in cui è stata deposta la testa mozzata del tiranno e Giuditta impugna ancora, appoggiandola sulla spalla, la spada con la quale ha compiuto da poco la sua vendetta; con l'altra mano, posata con un gesto complice sulla spalla dell'ancella, sembra volerla trattenere, come turbata da un rumore esterno.
Il dipinto, che si colloca tra le opere migliori di Artemisia, mostra una superba è la tensione del volto di Giuditta, segnata da uno sguardo preoccupato rivolto all'uscita della tenda e da una ciocca di capelli che è sfuggita dalla raffinata acconciatura.
Una minuziosa cura – come si riscontra in tutti i suoi numerosi dipinti dedicati alla storia di Giuditta – è posta nella raffigurazione dell'elsa della spada e dei gioielli che adornano l'eroina biblica. L'ampio turbante ed il vestito dell'ancella, giocati sulle varie tonalità del bianco e del giallo, mostrano inconfondibilmente i segni dell'apprendistato svolto presso la bottega del padre, Orazio Gentileschi.
FILIPPO LIPPI-LA PALA DEL NOVIZIATO-GALLERIA UFFIZI
FIRENZE
La Pala del Noviziato (Madonna col Bambino e santi) è un'opera di Filippo Lippi, tempera su tavola (196x196 cm), databile al 1440-1445 circa.
L'opera, riconosciuta come integralmente autografa[1], venne probabilmente commissionata da Cosimo il Vecchio, come suggerisce la presenza dei santi Cosma e Damiano, protettori del suo casato, ed era originariamente destinata alla cappella del Noviziato nella basilica di SantaCroce, di cui i Medici erano patroni.
All'epoca delle soppressioni napoleoniche (1813) la pala venne spostata assieme alla predella, dipinta dal Pesellino ed oggi divisa tra il Louvre (primi due scomparti) e gli Uffizi (ultimi tre scomparti)
L'opera è una sacra conversazione, con la Madonna in trono al centro affiancata da quattro santi: da sinistra si trovano san Francesco, san Damiano, san Cosma e sant'Antonio da Padova. Le coppie san Francesco-sant'Antonio (santi francescani, come i monaci di Santa Croce) e san Cosma-san Damiano sono disposte insolitamente in maniera spezzata, per generare simmetria e variazioni coloristiche. In alto, sul fregio dell'architettura, corre il motivo araldico delle "palle" medicee.
La prospettiva lineare con cui è composto lo spazio è ancora incerta, ma sono ben presenti tutti gli elementi stilistici di questa fase dell'artista: alternanza di colori, rappresentazione di marmorizzazioni e ricerca di nuove varianti. Lippi infatti, a differenza della tradizione, proporzionò i santi alla dimensione della Vergine, e li pose seduti accanto a lei e non più in piedi.
La predella del Pesellino mostra episodi della vita dei santi raffigurati e una Natività al centro.
martedì 29 novembre 2016
ARTEMISIA GENTILESCHI-L'ALLEGORIA DELL'INCLINAZIONE-GALLERIA DI CASA BUONARROTI
FIRENZE
L'Allegoria dell'inclinazione è un dipinto a olio su tela (152x61 cm) di Artemisia Gentileschi, databile al 1615-1616 e conservato nel soffitto della Galleria di Casa Buonarroti Firenze .
Il dipinto – commissionato nel 1615-16 da Michelangelo Buonarroti il giovane (1568-1646), nipote del celebre artista fiorentino – raffigura una giovane donna nuda, che regge con ambo le mani una bussola, sospesa in aria, su una coltre di nubi celesti, mentre una piccola stella luminosa brilla in fronte al viso incorniciato da biondi capelli che sembrano voler ribellarsi a una sin troppo elaborata acconciatura.
Rappresenta l'allegoria della Inclinazione ovvero del talento naturale, la predisposizione per un'arte. Le fattezze della giovane, ricordano i tratti somatici di alcuni ritratti (come l'incisione di Jérome David) e presunti autoritratti della pittrice.
Così ne parla Alexandra Lapierre nel suo romanzo su Artemisia:
« [...] nel chiederle un dipinto per uno dei cassettoni del soffitto, ne aveva formulato chiaramente il programma iconografico: voleva che rappresentasse una giovane donna che abbia del ardito, che fosse svestita e incarnasse l'Allegoria dell'inclinazione, l'allegoria di tutte le propensioni artistiche del divino Michelangelo. Con una libertà sconcertante, Artemisia aveva raffigurato sé stessa, completamente nuda. Oggetto del desiderio degli uomini ed oggetto dei propri dipinti, rivendicava contemporaneamente in quest'opera la bellezza del proprio corpo e il genio del suo pennello. »
Attraverso l'allegoria, Artemisia Gentileschi, allora ventiduenne, avrebbe dunque celebrato anche la propria inclinazione artistica. Vero o falso che sia proporre una identificazione così stretta della giovane donna della tela con la figura di Artemisia, è indubbio che il dipinto doveva avere una carica di conturbante sensualità; carica che oggi si può solo immaginare, avendo Lionardo Buonarroti, nipote del committente, ordinato a Baldassarre Franceschini, detto il Volterrano, l'esecuzione dei drappeggi moralistici che ne coprono le nudità (intorno al 1684).
Attraverso l'allegoria, Artemisia Gentileschi, allora ventiduenne, avrebbe dunque celebrato anche la propria inclinazione artistica. Vero o falso che sia proporre una identificazione così stretta della giovane donna della tela con la figura di Artemisia, è indubbio che il dipinto doveva avere una carica di conturbante sensualità; carica che oggi si può solo immaginare, avendo Lionardo Buonarroti, nipote del committente, ordinato a Baldassarre Franceschini, detto il Volterrano, l'esecuzione dei drappeggi moralistici che ne coprono le nudità (intorno al 1684).
ANDREA DEL SARTO-ANNUNCIAZIONE DELLA SCALA-GALLERIA PALATINA
FIRENZE
L'Annunciazione Della Scala è un dipinto a olio su tavola (96x189 cm) di Andrea del Sarto, databile al 1528 circa.
Vasari ricorda come questa Annunciazione venne dipinta come cimasa per la pala d'altare della chiesa di San Domenico a Sarzana, ma che non giunse mai a destinazione, rimanendo presso Giuliano Della Scala per un periodo imprecisato. In tale circostanza lo stesso artista modificò il formato, concepito originariamente come lunetta, in rettangolare, dipingendo le due tende laterali (Cecchi, 1980, però ritenne tale aggiunta più tarda, legata magari a un intervento di Jacopo Zucchi a Roma nel 1584).
La separazione dal contesto originario fu alla fine un vantaggio poiché la pala di Sarzana, dopo varie vicissitudini, finì a Berlino e lì venne distrutta nel 1945 durante l'incendio della Flakturm Friedrichshain.
Quando Ferdinando I de' Medici, allora ancora cardinale, si interessò alla pala, la richiese ai della Scala, fornendo una copia di Alessandro Allori (1580 circa). Seguito il corso delle collezioni medicee, venne infine destinata a palazzo Pitti.
Il letto di Maria, scorciato per una visione dal basso, fa da sfondo a questa toccante interpretazione del tema dell'Annunciazione, tutto legato al muto dialogo tra i due protagonisti. L'Angelo, a sinistra, che inginocchiato benedice Maria fissandola, e quest'ultima che soprpresa apre le mani e abbassa lo sguardo in segno di umile accettazione. Pochi sono i riferimenti tradizionali, quali il giglio, retto in basso dall'angelo, un vaso di fiori bianchi, ricordo dell'hortus conclusus, un libro e il letto, appunto, il tutto riferibile alla purezza virginale di Maria e all'avverarsi delle Scritture.
Le figure mostrano una forte plasticità, inondate dalla luce che ne sbalza le forme e accende nei colori riflessi cangianti. La tavolozza è ricca, intonata sulle note vivaci degli abiti (giallo, rosa, blu violaceo intenso) e sugli incarnati ora chiari ora chiazzati di sfumature brune.
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