giovedì 30 giugno 2016

BEATO ANGELICO-LA TEBAIDE-GALLERIA UFFIZI 

FIRENZE


La Tebaide è un dipinto a una tempera su tavola (73,5x208 cm) attribuito a Beato Angelico, databile al 1418-1420 circa.
L'opera venne acquistata dalle Gallerie fiorentine nel 1780 dalla raccolta del pittore pisano di origine inglese Ignazio Hughford. È stata a lungo attribuita a Gherardo Starnina, per gli evidenti stilemi dell'arte tardogotica; il Lanzi propose anche il nome di Ambrogio Lorenzetti, collegandolo all'affresco del Camposanto di Pisa, all'epoca ritenuto del maestro senese invece che di Buonamico Buffalmacco.
Dalla fine del XIX secolo fu ripreso il nome dello Starnina (Rigoni, Gamba, Procacci), ma spesso messo in discussione. Fu Roberto Longhi a riferirlo per la prima volta all'Angelico scorgendovi elementi quattrocenteschi (certe importazioni prospettiche degli edifici che a quell'epoca solo Angelico era in grado di applicare) e collegandolo alla tavoletta "con storie dei santi padri" di mano dell'Angelico citata nell'inventario redatto dopo la morte di Lorenzo il Magnifico nel 1492. L'attribuzione del Longhi è quella che ha poi catalizzato la maggior parte dei consensi.

L'opera mostra con dovizia di particolari le vite dei Santi Padri nel deserto presso Tebe, prese dalla Historia religiosa seu ascetica vivendi ratio di Teodoreto. In un paesaggio montagnoso, ai confini con una riva marina popolata di barchette, brulica una serie di personaggi minuti che abitano i romitori dei monaci.
La scena, che si rifà a modelli trecenteschi, è priva di un punto focale preciso e si disarticola in un vibrante microcosmo di dettagli minuti, che invitano l'occhio a soffermarsi da un lato all'altro in cerca di particolari aneddotici e curiosi.
Per l'assenza di valori tipicamente rinascimentali, l'opera viene datata alla fase più giovanile dell'Angelico, la prima in assoluto conosciuta o una comunque tra le primissime, dipinta attorno al 1420, quando l'artista non aveva ancora preso i voti di frate.





GHIBERTI-BEATO ANGELICO-TABERNACOLO DEI 
  LINAIOLI-MUSEO SAN MARCO   

FIRENZE


Il Tabernacolo dei Linaioli è un tempietto marmoreo di Lorenzo Ghiberti con pitture di Beato Angelico (tempera su tavola 260x330 cm). L'opera, conservata nel Museo nazionale di San Marco di Firenze, risale al 1432-1433.
La commissione di un tabernacolo esterno per la sede dell'Arte dei Linaiuoli in Mercato Vecchio (nell'allora piazza Sant'Andrea) a Firenze risale all'ottobre del 1432, quando al legnaiolo Jacopo di Bartolo da Settignano detto il Papero fu allogata la parte di carpenteria, mentre le parti marmoree furono scolpite da Simone di Nanni da Fiesole, su disegno di Lorenzo Ghiberti (il quale ricevette un compenso, il 29 ottobre di quell'anno, di tre fiorini d'oro). Può darsi comunque che l'esecuzione fosse completata con un certo ritardo, poiché la parte figurata con l'Eterno benedicente tra due cherubini, iconograficamente derivata da un'opera del senese Giovanni d'Agostino, mostra affinità con opere dei Della Robbia di qualche anno successive.

Il contratto destinato all'Angelico per dipingere "di dentro e di fuoi co' colori oro et azzurro et arieto, de' migliori et più fini che si truovino" è datato 2 luglio 1433, con un compenso pattuito di 190 fiorini d'oro. La predella viene in genere datata al 1434-1435. Non si conosce la data esatta dell'installazione del tabernacolo sulla facciata del palazzo.
L'opera è di misure eccezionali, paragonabile, nel panorama della pittura fiorentina, solo alla Maestà di Santa Trinita di Cimabue o alla Madonna Rucellai di Duccio di Buoninsegna. Più che un tabernacolo assomiglia a un portale monumentale. Forse le misure e la forma furono dovute a una tavola o un affresco duecentesco già presente, che venne rimpiazzato, o più probabilmente si voleva eguagliare con la pittura la maestosità delle statue nelle nicchie di Orsanmichele.
Già nel 1777 l'opera era stata ricoverata nel palazzo della Borsa, dove erano confluiti alcuni beni delle Arti di Firenze, e in quell'anno l'opera venne trasferita agli Uffizi. Nel 1924 fu destinata al Museo di San Marco.
Con la distruzione del Mercato Vecchio per fare spazio al "Risanamento" cittadino, venne distrutta la sede originale dell'Arte dei Linaiuoli, dove esisteva ancora lo spazio che un tempo accoglieva il tabernacolo.
Il tabernacolo è stato oggetto di un capillare restauro concluso nel 2010, al termine del quale è stato temporaneamente esposto nella biblioteca di Michelozzo nel Museo di San Marco.

Il tabernacolo è composto da una struttura marmorea rettangolare con cuspide triangolare, ove si trova una mandorla col Cristo benedicente e Angeli cherubini. Al centro, entro un'apertura ad arco, di trova la tavola dell'Angelico, con la Maestà incorniciata da una fascia con dodici angeli musicanti. Davanti si trovano due sportelli mobili dipinti su entrambi i lati con santi a tutta figura: all'esterno, visibili quando il tabernacolo è chiuso, si trovano San Marco Evangelista (sinistra) e San Pietro (destra); all'interno San Giovanni Battista (sinistra) e San Giovanni Evangelista (destra). La pala è completa di predella, divisa in tre pannelli con: San Pietro detta il Vangelo a san Marco, Adorazione dei Magi e Martirio di san Marco. La figura di Marco ricorre perché era il protettore della corporazione.
Il pannello centrale, sebbene fortemente danneggiato, presenta uno stile coerente con le prime opere dell'Angelico, con un gradino marmoreo sul quale si trova il seggio; oltre due drappi di tendaggi (richiamo all'attività tessile della corporazione?) si vede un soffitto dipinto come un cielo stellato (richiamo all'Annunciazione di Washington di Masolino) dove vola la colomba dello Spirito Santo.
Le figure del tabernacolo sono caratterizzate dall'assialità prospettica e dalla centralità. La Madonna è incorniciata da una profusione di broccati e tendaggi dorati, che le donano un'aurea di preziosità e sospensione paragonabile alle icone. L'importanza data alle stoffe può essere legata a motivi contingenti per l'attività della corporazione, ma la loro presenza amplificano anche la luce, i volumi e i colori della Vergine col Bambino.

I santi, nonostante la dimensione che li rendeva i più grandi di qualsiasi altro pannello fiorentino dell'epoca, vennero rappresentati con estrema perizia e forse nel disegno venne in aiuto Lorenzo Ghiberti, come sembra suggerire un passo dei Commentari e alcune somiglianze con le sue statue per Orsanmichele (in particolare il San Matteo e il Santo Stefano, dei quali i dipinti sulle ante sembrano le trasfigurazioni pittoriche). Le figure maestose del Tabernacolo vennero probabilmente create per compartecipare a pieno titolo proprio con i tabernacoli di Orsanmichele, dove le altre Arti avevano le statue dei loro santi protettori.
I santi sono dipinti con una calcolata tridimensionalità e sembrano bucare la superficie pittorica, come statue appunto: San Giovanni Battista tiene la croce in avanti rispetto al corpo; San Giovanni Evangelista, ha la mano destra tesa in segno di benedizione e il libro voltato verso lo spettatore; San Marco, protettore dei Linaioli, ha una posa organizzata sulle linee diagonali e un libro in prospettiva; San Pietro infine tiene con le due mani il volume delle Epistole ed ha la mano destra lievemente più avanti del corpo e la sinistra spinta fuori da sotto il mantello.

Gli angeli musicanti della cornice sono disegnati con grande libertà, maggiore che in opere anteriori, e forse intervenne nel loro disegno Ghiberti, anche se lo stato di conservazione non permette di giudicare se furono effettivamente dipinti dall'Angelico o da un collaboratore.
Il primo pannello della predella mostra San Pietro che detta il Vangelo a san Marco. Vi si vede il primo apostolo che da un pulpito ligneo a base esagonale predica alla folla mentre a sinistra san Marco seduto sta scrivendo, con l'aiuto di un novizio inginocchiato che gli regge il calamaio. Partecipano alla scena numerosi personaggi abbigliati secondo la moda dell'epoca, mentre lo sfondo è composto da una serie di edifici in prospettiva, che ricordano, più o meno fedelmente, scorci dell'architettura fiorentina dipinti con notevole rifinizione (il campanile della Badia, palazzo Vecchio, ecc.). La forma della figura di san Pietro e la composizione con i personaggi di profilo e di spalle ricordano alcuni affreschi della Cappella Brancacci, in particolare la Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra di Masaccio. La profondità spaziale è maggiore che in scene dipinte precedentemente.

Il pannello centrale presenta un'innovativa Adorazione dei Magi, dove al posto del tradizionale corteo disposto orizzontalmente come un fregio (come nell'Annunciazione di Cortona) si trova una composizione di tipo circolare. La Vergine col Bambino è sempre seduta sulla destra a ricevere l'omaggio di due Magi, mentre il resto del corteo è disposto su una fila parallela in secondo piano, con il terzo magio occupato a parlare con san Giuseppe. Nella testa del giovane tra i due cavalli, dipinta con una tecnica pointillista, si è voluta riconoscere la mano del giovane Piero della Francesca.
La terza scena mostra il Martirio di san Marco: il corpo del santo, trascinato per le vie di Alessandria, viene colto da una grandinata prodigiosa che mette in fuga gli aguzzini. La parte destra è occupata dalla rappresentazione della tempesta dalla quale fuggono concitatamente i personaggi, con azioni eloquenti che nell'opera dell'artista si ritrovano solo nelle scene della Vita dei santi Cosma e Damiano della pala di San Marco. La rappresentazione atmosferica della tempesta richiama il Miracolo della Neve del Sassetta a Siena, ma non trova riscontro nella pittura fiorentina.

mercoledì 29 giugno 2016

SANDRO BOTTICELLI-RITRATTO DI GIOVANE-
GALLERIA PALATINA 

  FIRENZE   


Il Ritratto di giovane è un dipinto a tempera su tavola (51x33,7 cm) di Sandro Botticelli, databile al 1470 circa.
Si ignora la collocazione originaria del dipinto e l'identità del giovane effigiato. L'opera, presente negli inventari antichi come opera di Andrea del Castagno, è testimoniato a palazzo Pitti dal 1829. Fu Adolfo Venturi a indicare per primo il nome di Botticelli, collocandolo alla fase giovanile della sua produzione, come confermato poi da Mandel, Bohm, Pons, Caneva, Luchs e Padovani.
Questo dipinto è uno dei primi in cui il soggetto viene ritratto non di profilo, come era consuetudine, ma di tre quarti, secondo una consuetudine derivata dalla pittura fiamminga che in Italia iniziò a sostituire il ritratto di profilo, di stampo umanistico, nella seconda metà del XV secolo.
Il giovane ragazzo è ritratto fino al busto, voltato verso sinistra, con indosso una mantella rossa da ricco borghese e un capperone con il tipico drappo ricadente sulle spalle. L'effigie è al tempo stesso sintetica e celebrativa, con una sottile tensione psicologica, data dallo sguardo diretto che il giovane rivolge allo spettatore. La leggera visione dal basso dà al personaggio un tono aristocratico di superiorità.
Lo sfondo è un cielo azzurrino che schiarisce verso l'orizzonte.
Il ritratto è dominato dal linearismo formale che non esita a sacrificare la terza dimensione.
SODOMA-CRISTO TRA GLI SGHERRI-GALLERIA UFFIZI 

  FIRENZE   



Il Cristo tra gli sgherri è un dipinto a olio su tavola (85x60 cm) del Sodoma, databile al 1525-1549 circa.
L'opera è inventariata in Tribuna già dal 1589, e al 18 luglio 1800 si trovava nella Guardaroba medicea.
Le figure di Cristo tra due sgherri sono trattate a mezza figura ed emergenti dall'oscurità, con attenzione ai dettagli patetici, come le lacrime. Il tipo fisico di Gesù, magro e smunto, rimanda ad esempi lombardi, come il Bramantino.
Se ne conosce una replica di bottega (1550 circa) nella Galleria Palatina di Firenze.
CANALETTO-PALAZZO DUCALE DI VENEZIA-GALLERIA 
UFFIZI

 FIRENZE 

Secondo la leggenda, il 25 marzo del 421 veniva fondata la città di Venezia: omaggiamo questo evento con un bellissimo dipinto di uno dei più grandi veneziani di tutti i tempi, Antonio Canal detto il Canaletto, che rappresenta uno scorcio di Palazzo Ducale con vista anche su piazza San Marco.
Non conosciamo con sicurezza la data di realizzazione, ma possiamo supporre che sia stato eseguito prima del 1755 perché la Torre dell'Orologio, che vediamo sul fondo della piazza, non presenta le modifiche che furono realizzate in quell'anno. Il dipinto è conservato presso la Galleria degli Uffizi di Firenze dal 1796.
Si tratta di una bella prova dell'abilità quasi fotografica del Canaletto, che era solito realizzare i suoi capolavori (e probabilmente anche questo) servendosi della camera oscura: un dispositivo che permetteva al pittore di riprodurre ciò che vedeva nella realtà. I colori sono tersi, sono quelli tipici della pittura ariosa e "gioiosa" del Canaletto, che realizzava i suoi dipinti senza far percepire il declino della Repubblica di Venezia durante il Settecento: la Venezia del Canaletto sembra una città sempre in festa. O almeno trafficatissima, come in questo caso: il bacino di san Marco è pieno di gondole e imbarcazioni che navigano in ogni direzione.
Nella visuale che ci propone il Canaletto, notiamo da sinistra la Zecca di Venezia, il palazzo dell'attuale Biblioteca Nazionale Marciana, la piazza con il Palazzo Ducale, e poi continuiamo osservando le prigioni fino ad arrivare a Palazzo Dandolo, sede oggi dell'Hotel Danieli.
Con la Brexit la Gran Bretagna ha perso pure il Commonwealth
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martedì 28 giugno 2016

FILIPPINO LIPPI-ADORAZIONE DEL BAMBINO-GALLERIA 

UFFIZI 

FIRENZE



L'Adorazione del Bambino è un dipinto a olio su tavola di quercia (96x71 cm) di Filippino Lippi, databile al 1483 circa.
L'opera venne acquistata nel 1902 per 37.000 lire. Si conserva un disegno preparatorio di Filippino al Gabinetto delle Stampe della Galleria Nazionale di Roma.
In un erbosa terrazza delimitata da un parapetto Maria è in ginocchio davanti al Bambino poggiato a terra su un drappo e su un lembo della sua veste, sullo sfondo di un paesaggio che mostra un'erta via collinare tra alberi e arbusti.
Elegantissimo è il profilo di Maria, dai capelli biondi mossi in ricci accuratamente acconciati e raccolti da un velo quasi trasparente. Essa indossa un pesante manto blu, che tenuto dal braccio piegato ricade a terra con ampie falcate, e la tipica veste rossa.
Il Bambino guarda stupefatto la madre, con una fisionomia paffuta. La ricchezza di erbette del manto erboso è un retaggio tardogotico mai scomparso nell'arte fiorentina, che venne usato anche da Botticelli e Leonardo.
L'opera appartiene alla fase giovanile dell'artista, ancora fortemente influenzato da Botticelli, infatti la composizione è avvicinabile a un tondo botticelliano a Piacenza. Filippino si distacca però dal maestro nel tratto più morbido e vibrante, meno legato al linearismo. Il paesaggio mostra invece, con il punto di vista rialzato grazie all'espediente della terrazza, l'interesse verso i risultati della pittura fiamminga.
SALA UDIENZE PALAZZO VECCHIO 

FIRENZE 
                                            

La Sala dell'Udienza o Sala della Giustizia era utilizzata per ospitare gli incontri di un Gonfaloniere di Giustizia e otto Priori. Il tetto a botte, laminato con oro puro, è opera di Giuliano da Maiano (1470-1476).
Sul portale della cappella c'è un'iscrizione in onore di Cristo (1529). La porta, che comunica con la Sala dei Gigli, è scolpita nel marmo e decorata da una personificazione della Giustizia nella lunetta, opera dei fratelli Giuliano e Benedetto da Maiano.


I grandi affreschi alle pareti, rappresentanti le Storie di Furio Camillo di Francesco Salviati, con la collaborazione di Domenico Romano, furono realizzati nel 1543-1545. Dato che Salviati era membro della scuola romana di Raffaello questi affreschi sono ispirati alla tradizione romana e non tipici dell'arte fiorentina.
LORENZO GHIBERTI-ARCA DI SAN ZANOBI-DUOMO 

FIRENZE


L'Arca di san Zanobi è un monumento funebre in bronzo (85x193 cm) di Lorenzo Ghiberti, databile al 1432-1442 circa e conservato nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze, sotto la mensa d'altare della cappella di San Zanobi.
Il 15 luglio 1428, dopo un serie di consultazioni svoltesi con cittadini e con artisti attivi nel cantiere della cattedrale, venne deciso di intitolare una delle cappelle della tribuna a san Zanobi, in particolare quella in asse con l'ingresso principale della basilica. Nell'altare della cappella venne deciso di inumare le spoglie del santo, facendo approntare appositamente una nuova cassa bronzea o marmorea.
L'attuazione delle delibere fu però rimandata di qualche anno, nell'attesa che la costruzione della cupola fosse più avanzata. Nel gennaio del 1431 venne richiesto a Brunelleschi e al capomastro di fare un modello per l'altare, che venne costruito a partire dal marzo di quell'anno.
Per l'arca si indisse un vero e proprio concorso aperto a chiunque. Nel 1432 circa si appesero al portale del palazzo dell'Arte della Lana, al portale della cattedrale e al portale della sede dell'Arte dei Maestri di Pietra e Legname uno scritto che invitava chiunque volesse a fare un modello per la sepoltura, presentandolo entro cinque giorni al notaio o al provveditore dell'Opera del Duomo. Nel frattempo si dispose l'acquisto di bronzo, contrattando con l'Arte stessa che ne possedeva un'eccedenza avanzata dalla fusione del Santo Stefano di Orsanmichele.
La scelta del progetto vincitore avvenne tramite una commissione mista di Operai e nove cittadini, che optò, tra tutti i modelli presentati, per quello di Ghiberti. Tra i progetti scartati ve ne era anche uno di Brunelleschi, a cui comunque fu allogato l'altare.
Il dettagliatissimo contratto con Ghiberti risale al marzo 1432, con un tempo di consegna stabilito in tre anni e sei mesi a partire dal 15 aprile dell'anno in corso. L'artista vi lavorò con solerzia per i primi due anni e nel 1434 è registrata infatti la consegna di cinquecento libbre d'ottone acquistate a Venezia «per gitare due storie della sepoltura di santo Zanobi».
Nel 1439 i lavori dovevano essersi arrestati e l'artista è di nuovo incaricato formalmente di procedere al completamento della cassa, specificando che la parte tergale doveva essere a sportello (per estrarre e riporre il busto-reliquiario del santo, creato da Andrea Arditi nel XIV secolo) e contenente un'iscrizione che avrebbe dettato il cancelliere Leonardo Bruni. Mentre i lavori procedevano, nel marzo del '40, non essendo ancora stato disposto niente riguardo al testo dell'iscrizione, gli operai decisero di utilizzare le parole che ancora oggi sono presenti.


Nel gennaio del 1442 la cassa doveva essere completata, poiché venne fatta verniciare. Ad agosto si saldò l'artista, per un totale di circa 1324 fiorini. A fine del Cinquecento si decise di dorare la cassa, con un procedimento che si rivelò poco durevole, infatti, sebbene il metallo prezioso si mantenne almeno fino a tutto il seicento, oggi non ve ne è più traccia.
L'arca ha una forma tradizionale, a parallelepipedo, con base e coperchio rastremato. Vari elementi decorativi tratti dall'architettura classica, come le cornici modanate e i dentessi, incorniciano i riquadri con bassorilievi sui quattro lati. Lo schema è quello dell'Arca dei tre martiri, eseguita dall'artista nel 1427-1428 circa.
Il lato frontale della cassa è decorato con il grande rilievo della Resurrezione di un fanciullo, miracolo del santo avvenuto tradizionalmente in città, in Borgo degli Albizi, e a miracoli simili alludano anche i due rilievi laterali: la Resurrezione del famiglio di sant'Ambrogio e la Resurrezione di un fanciullo travolto da un carro di buoi. La parte tergale presenta sei angeli che sostengono una ghirlanda di foglie d'olmo, contenente un epitaffio in latino in onore del santo: CAPUT BEATI ZENOBII FLORENTINI EPISCOPI IN CUIUS HONOREM HEC ARCA INSIGNI ORNATU FABRICATA FUIT.
La scena principale è ambientata in uno scorcio cittadino ideale, descritto con edifici classicheggianti e con una città murata alla sinistra, in cui al centro avviene la scena miracolosa che ha come protagonisti la madre affranta, a sinistra, il fanciullo ora disteso, ora in piedi (per simboleggiare la resurrezione) e il vescovo Zanobi. Essi si trovano al centro di una strada tra due affollate quinte di cittadini, in prospettiva centrale esattamente simmetrica, una scelta particolarmente azzeccata per la collocazione, al centro dell'asse della navata principale nella chiesa. Se nelle figure laterali domina un senso di placida contemplazione, animate dalla variazione del rilievo che restituisce la diversa distanza (altorilievo per le figure più vicine, fino allo stiacciato per quelle più lontane), i protagonisti al centro sono animati da una forte espressività: la madre che distende le braccia affranta (gesto che verrà sviluppato qualche anno dopo da Domenico Veneziano nell'analogo episodio rappresentato nella predella della Pala di Santa Lucia dei Magnoli), il fanciullo in doppia posa (un espediente già usato, ad esempio, da Ambrogio Lorenzetti nelle Quattro storie di san Nicola, tavola per l'appunto a Firenze), e il santo che invoca intensamente il cielo levando il braccio e lo sguardo. La presenza di personaggi con abiti di foggia orientale ricorda l'evento fiorentino del Concilio del 1439. Tipiche di Ghiberti sono l'estrema cura dei dettagli e la stilizzazione di alcuni di essi, in linea con un gusto decorativo del mai dimenticato retaggio gotico e della sua minuzia da orefice. Ne sono esempio i gruppi d'alberi, qua e là, mai realisticamente rapportati alla scala delle figure, oppure i valori prettamente disegnativi di alcuni dettagli, come lo svolazzare di alcuni panneggi, la popolosa città murata (di sapore così goticheggiante), le rocce scheggiate che formano la base della rappresentazione. La commistione di questi elementi ne fa un ottimo esempio dello stile di mediazione di Ghiberti, che tanto successo riscosse per aver saputo coniugare la tradizione con le più innovative scoperte dei colleghi del filone più "puro" dell'arte del primo Rinascimento: Brunelleschi, Donatello e, con minor influsso, Masaccio.

lunedì 27 giugno 2016

PALAZZO DEI CERCHI 

FIRENZE


Il palazzo dei Cerchi è uno dei meglio conservati palazzi trecenteschi di Firenze, situato tra il vicolo dei Cerchi, via dei Cimatori e via della Condotta.
Il grande palazzo non appartenne al ramo più noto della famiglia dei Cerchi, quello delle strenue lotte tra guelfi bianchi e neri, ma fu realizzato tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo da alcuni rami restati in città dopo il bando da parte dei guelfi neri. Queste famiglie imparentate con il ceppo antico dovettero cambiare nome e scelsero Cerchi Riccardi, Lupacci, Barbetti e Botti, ma al palazzo è stato tramandato il nome dell'originaria famiglia.
La costruzione prese il via dall'unione di più case-torri appartenenti alla consorteria dei Cerchi, che in quella zona aveva posseduto altre numerose case e torri e una loggia.

Jacopo dei Cerchi lasciò il palazzo in eredità ai Capitani del Bigallo, i quali affittarono i locali al pian terreno a vari esercizi commerciali, tra i quali spiccano la tipografia di Bernardo Cennini, dalla quale uscì il primo libro a stampa di Firenze (1471), e quella di Lorenzo Torrentino, originario del Brabante, che diede alle stampe dal 1547 più di seicento opere di letteratura, filosofia e giurisprudenza; altri tipografi ancora vi lavorarono tra i quali si ricordano i Tartini, i Franchi, i Cambiagi.
Dal 2004 al 2015 il palazzo è stato la sede a Firenze della Kent State University.
Il palazzo si presenta oggi ricoperto dalla tradizionale pietra a vista, lavorata in conci regolari. Vi si aprono numerose aperture di grandezza regolare, sormontati da archi ribassati o leggermente a sesto acuto dalle ghiere particolarmente spesse. Al pian terreno si aprono alcuni portali sormontati da massicci archi a sesto acuto
Il bugnato appena sporgente al pian terreno è uno dei più antichi di Firenze.
Il palazzo ha inglobato in parte l'antica torre degli Alepri.

AMBROGIO LORENZETTI-STORIE DI SAN NICOLA-
GALLERIA UFFIZI 

  FIRENZE   
                                                       



Le Storie di san Nicola sono un gruppo di quattro pannelli raggruppati in due tavole (96x52,5 cm la prima e 92x49 cm la seconda) di Ambrogio Lorenzetti, databili al 1332.
L'opera venne realizzata dall'artista senese durante il suo soggiorno a Firenze (documentato dal 1321), quando si iscrisse all'Arte dei Medici e Speziali e ricevette numerose commissioni sfruttando anche il vuoto che Giotto aveva lasciato con la sua partenza del 1327.
I quattro pannelli con le storie di san Nicola di Bari erano originariamente nella chiesa di San Procolo, come ricorda Vasari, dove si trovava anche il Trittico di San Procolo dello stesso autore. Si pensa che originariamente anche le Storie di san Nicola fossero composte in un dossale a forma di trittico, con una grande figura di san Nicola di Bari al centro, perduta; un'altra ipotesi è che fossero due sportelli di un tabernacolo.
Le quattro storie rappresentano la Resurrezione di un bambino, il Salvataggio di Mira dalla carestia con l'essiccazione e la moltiplicazione di sacchi di farina caduti in mare, il Regalo della dote a tre vergini e la Consacrazione di san Nicola come vescovo.
Le scene sono caratterizzate da una straordinaria scioltezza narrativa, con numerosi espedienti inediti e con una graduale riduzione del fondo oro, confinato a spazi sempre più piccoli e marginali con l'architettura che occupa quasi tutto lo sfondo. La minuzia dei dattegli dovette avere un effetto sorprendente sui fiorentini, abituati all'essenzialità dei giotteschi.

Consacrazione di san Nicola come vescovo
Nella scena di San Nicola che resuscita il bambino strozzato dal demonio, il bambino protagonista è raffigurato quattro volte in altrettanti momenti successivi, che si svolgono nei due piani di un edificio: il pian terreno è aperto da un arcone, mentre il piano superiore è visibile tramite una loggia. Il diavolo si presenta in un'abitazione chiedendo come un pellegrino e un bambino gli va incontro; successivamente (a sinistra) lo strangola dietro le scale; il bambino sta poi morto sul suo letto, ma san Nicola, apparso in un nimbo in alto a sinistra, lo resuscita facendolo rialzare.
La scena del Salvataggio di Mira dalla carestia con l'essiccazione e la moltiplicazione di sacchi di farina caduti in mare mostra la veduta del porto di una città dove su una nave due angeli stanno rovesciando la pioggia, mentre il vescovo si trova sulla riva risolvendo la situazione. Sorprendente è l'uso di una prospettiva "a spina di pesce" nella composizione, con l'occhio dello spettatore che viene trascinato in alto dalla linea della costa, per poi ridiscendere con le linee delle vele delle navi.
Nel Regalo della dote a tre vergini si vede l'interno di una casa tramite un loggiato in cui stanno tre donne con l'anziano padre; per la povertà egli aveva manifestato il proposito di avviarle alla prostituzione, ma il santo, affacciato dalla finestrella sulla sinistra, salva tirando loro tre astucci dorati.

La Consacrazione di san Nicola come vescovo infine mostra un fedele interno di chiesa, organizzato come quello della Presentazione al Tempio nella stessa sala degli Uffizi; digrande complessità nell'orchestrazione, mostra il presbiterio rialzato della chiesa, affollato di numerosi personaggi, una pala gotica sull'altare e un affresco con angeli che reggono un tondo del Salvatore benedicente sull'arcone.

domenica 26 giugno 2016

DOMENICO IL GHIRLANDAIO-SALA DEI GIGLI PALAZZO 

VECCHIO 


  FIRENZE    
                                                         



Ricevette nel 1482 dalla Signoria di Firenze la commissa per la decorazione, ad affresco, della Sala dei Gigli in Palazzo Vecchio. In un primo momento l'opera doveva essere divisa tra i maggiori artisti operanti in città, tra cui, oltre al Ghirlandaio stesso, Sandro Botticelli, Pietro Perugino e Piero del Pollaiolo, ma alla fine se ne occupò il solo Domenico
BREXIT.........

Mi meraviglio che tante persone si stiano meravigliando per l'uscita della Gran Bretagna dalla Unione Europea. Non mi meraviglio che altrettante persone gioiscano per questa uscita......" gli inglesi hanno gli attributi.......hanno riconquistato la loro libertà ecc." Non mi meraviglio per il semplice fatto che molti di questi commenti sono frutto della non conoscenza per non parlare di una grande ignoranza. Ignoranza per ciò che riguarda il vero pensare del popolo inglese, ignoranza per ciò che concerne la storia secolare dei sudditi di SMR. La storia inglese è sempre stata antitetica alla storia del continente tutte le guerre che essi hanno condotto a cominciare dalle guerre contro Napoleone erano funzionali ad un'Europa disunita. L'obbiettivo vero che l'Inghilterra ha perseguito è stato sempre quello di avere un equilibrio delle potenze europee ed anche il favorire in qualche modo l'unità dell'Italia era funzionale a questo loro progetto geo-politico. Gli Inglesi hanno guardato sempre alle loro colonie, al loro impero e l'europa era un'appendice di cui occuparsi quando qualcuno minacciava la loro supremazia. In questi anni hanno portato avanti una politica del doppio binario da una parte la UE e dall'altra il Commonwealth delle nazioni/britannico, quest'ultimo pallido fantasma della loro antico potere imperiale. Questa dicotomia non poteva portare che inevitabilmente al risultato del referendum sul BREXIT. Se poi consideriamo che molti inglesi, sopratutto i più anziani, non hanno ancora capito e pertanto non si stiano rassegnando al fatto che la loro isola non sia più caput mundi ed anche questo è un motivo del loro voto in funzione anti europea. Io mi meraviglio che politici navigati ed esperti non conoscessero i veri sentimenti del loro popolo anche se sono convinto che il loro europeismo fosse molto di facciata e tutto sommato molti di loro non si stracceranno le vesti per la vittoria del Brexit..........in compenso questo risultato ha messo paura a tanti euro scettici nostrali,...... non mi meraviglia affatto il voltafaccia di Grillo, ad esclusione di qualche decerebrato che non sa vedere oltre la punta del proprio naso...... Salvini, Meloni e alcuni nostalgici di un nazionalismo di stampo fascista. Tutto sommato l'uscita dalla UE del GB non mi meraviglia e mi preoccupa il giusto visti gli ostacoli che loro costantemente ponevano alla realizzazione di un'Europa federale e sempre più unita.
DESIDERIO DA SETTIGNANO-MONUMENTO FUNEBRE 
CARLO MARSUPINI-BASILICA DI SANTA CROCE 

FIRENZE


Il Monumento funebre di Carlo Marsuppini è un'opera in marmo di Desiderio da Settignano e si trova nella basilica di Santa Croce a Firenze. Risale al 1453-1455 e misura 601x358 cm.
Il monumento viene in genere datato tra il 1453, data della morte di Carlo Marsuppini, cancelliere della Repubblica di Firenze dopo Leonardo Bruni e come lui filosofo, scrittore ed umanista, e il 1455, pur non esistendo una documentazione esatta al riguardo.
Il monumento funebre riprese la tipologia classica delle tombe ad arcosolio, ispirandosi puntualmente all'antistante monumento funebre di Leonardo Bruni di Bernardo Rossellino, del 1450. Se lo schema compositivo delle due opere è comune ed entrambe rappresentano il tema della glorificazione laica del defunto, sottolineata dagli attributi letterari del ritratto un'interpretazione del tema, nell'opera di Desiderio da settignano si coglie un innegabile evolversi del gusto verso opere più ricche e decorate, dove gli elementi di corredo acquistano una valenza, anche individuale, sempre maggiore.
Lo zoccolo di base è decorato da un fregio con ghirlande, festoni svolazzanti e una coppa in scorcio colma di fiori. Sopra di esso si impostano i pilastri scanalati con capitelli corinzi che reggono la trabeazione con fregio all'antica, che corre lungo la parete della nicchia, e l'arco a tutto sesto. Alla base dei pilastri si trovano due putti che reggono scudi araldici: nei due fanciulli teneramente modellati si ritrova uno dei soggetti più cari dell'opera di Desiderio, quello dell'infanzia.

Il sarcofago vero e proprio è poggiato su un secondo zoccolo, con un fregio di vasi con fiori e racemi, retto da zampe leonine e da una conchiglia tra ali al centro. Nella forma del sarcofago si nota già evidente un'evoluzione rispetto al modello del Rossellino, dove la massiccia vasca rettangolare ha lasciato il posto a una cassa dal profilo curvilineo, con una copertura embricata molto sporgente che alleggerisce la massa spezzando il volume. la decorazione è affidata a raffinate girali che, partendo dalle zampe, movimentano la superficie liscia, con dettagli a traforo che sporgono sui lati.
Grande maestria usò lo scultore nel finire il marmo, come si nota soprattutto nel catafalco col ritratto del defunto, che è dotato della morbidezza e del tepore che lo rendono vitale. La figura distesa, come in analoghe opere di Donatello e michelozzo, è ruotata leggermente verso lo spettatore, ed analogamente all figura di Leonardo Bruni, tiene una sua opera un mano ed è incoronata dall'alloro.
La parete dietro il catafalco è quadripartita da lesene e specchiature in marmo rosso.
Nella lunetta di trova un medaglione con la Madonna col Bambino, tra due busti angeli. Due fanciulli scolpiti a tutto tondo si trovano sulla cornice all'altezza della linea d'imposta dell'arco e reggono sulle spalle una ghirlanda, che parte dall'ampolla col fuoco che si trova sulla sommità del monumento, e scende poi rettilinea lungo i fianchi, parallela ai pilastri. Anche in questo caso si tratta di un'evoluzione del modello del Rossellino, che fece terminare la sua ghirlanda appena sopra l'arco.

sabato 25 giugno 2016

NESSUNO TOCCHI C AINO    
no alla pena di morte    !!!!!!!!!!








1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : OSLO: 6° CONGRESSO MONDIALE CONTRO LA PENA DI MORTE 2.  NEWS FLASH: PAPA FRANCESCO: PENA DI MORTE INAMMISSIBILE, NON FA GIUSTIZIA 3.  NEWS FLASH: SRI LANKA: MINISTRO DEGLI ESTERI INVITA AD AVERE CORAGGIO DI ABOLIRE LA PENA DI MORTE 4.  NEWS FLASH: DONA IL 5XMILLE A NESSUNO TOCCHI CAINO 5.  NEWS FLASH: ROMA: 26 GIUGNO CONCERTO DELLA MISERICORDIA 6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


OSLO: 6° CONGRESSO MONDIALE CONTRO LA PENA DI MORTE
23 giugno 2016: si è concluso ad Oslo il 6° Congresso mondiale contro la pena di morte con l'adozione della dichiarazione finale ed una solenne sessione di chiusura dei lavori.

La sessione di chiusura si è svolta presso la sala dei Nobel, al Municipio, con l'introduzione del sindaco di Oslo Marianne Borgen, a cui è seguito il discorso del Sottosegretario agli esteri norvegese, Tore Hattrem. Vi sono poi stati gli interventi di varie associazioni sostenitrici della campagna e quelli dei Premi Nobel per la Pace del 2015, il quartetto per il dialogo tunisino.
Dopo il video messaggio dell'imprenditore (Virgin) e filantropo inglese Richard Branson, Antonio Stango ha presentato un video tributo a Marco Pannella, leader del Partito Radicale Nonviolento, transnazionale e transpartito e Presidente d'Onore di Nessuno tocchi Caino.
A chiusura del Congresso, è seguita da una colorata marcia nel centro della città di Oslo.
Il Congresso si è aperto il 21 giugno con l’intervento del ministro degli Esteri norvegese Borge Brende.
Un side event è stato organizzato dell'ambasciata italiana alla Domus media dell'Università per valutare l'esistenza di un diritto cogente sul piano internazionale in tema di pena di morte.
L'apertura ufficiale è avvenuta al Palazzo dell'Opera nel pomeriggio con l'intervento dell'Alto Commissario ONU per i diritti umani Zeid Al Hussein, che si è detto contrario alla pena di morte e favorevole all’affermazione dello stato di diritto come migliore risposta al terrorismo.
Sono poi intervenuti numerosi Ministri e per l'Italia il Sottosegretario agli Esteri Benedetto della Vedova.
In un video messaggio inviato al Congresso, Papa Francesco ha detto che la pena morte va abolita come ogni altra pena che non coltivi la speranza, perché altrimenti si tratterebbe di tortura. Il ministro degli Esteri della Repubblica Democratica del Congo Christophe Mboso N’kodia Pwanga ha ufficialmente annunciato il voto a favore della prossima risoluzione pro-moratoria in Assemblea Generale. Dopo Raphael Cheunil Hazan direttore esecutivo di Ensemble contre la peine de mort associazione organizzatrice dell'evento, Antonio Stango, Coordinatore del Congresso e membro del Direttivo di Nessuno tocchi Caino ha concluso la cerimonia di apertura.
Il Congresso è continuato il 22 giugno con un approfondimento sull'evoluzione del dibattito sulla pena capitale nel continente asiatico, aperto dal Ministro degli Esteri dello Sri Lanka Mangala Samareweera, al quale è seguita una sessione dedicata alla pena di morte in tempo di terrorismo.
Nel pomeriggio si è svolto l'evento sulla 6° Risoluzione pro moratoria con il Ministro della giustizia della Mongolia Bayartsetseg Jigmiddash, Elisabetta Zamparutti di Nessuno tocchi Caino e Chiara Sangiorgio di Amnesty International, sulle strategie in vista del prossimo voto.
L'evento è stato molto partecipato, con un intenso e utile scambio di vedute soprattutto sul testo della prossima Risoluzione.
Gli altri eventi hanno riguardato la pena di morte in Bielorussia, in Iran e la pena di morte per droga. Le sessioni pomeridiane hanno invece riguardato la pena di morte nei confronti di malati di mente e di minoranze.


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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

PAPA FRANCESCO: PENA DI MORTE INAMMISSIBILE, NON FA GIUSTIZIA
21 giugno 2016: “Spero che questo Congresso possa dare nuovo impulso all'impegno per l'abolizione della pena capitale”. È l’auspicio col quale Papa Francesco chiude il videomessaggio inviato al Congresso mondiale contro la pena di morte apertosi oggi nella capitale norvegese di Oslo.
La pena di morte? Qualsiasi sia il reato, “è inammissibile”. Papa Francesco è netto nello stigmatizzare il ricorso a una pratica per arginare la quale, riscontra con soddisfazione, si registra una “crescente opposizione”, “anche come strumento legittimo di difesa sociale”.
Francesco si congratula con organizzatori e partecipanti di ogni ordine e grado presenti a Oslo per il Congresso mondiale contro la pena di morte. Il Papa è diretto: uccidere un reo non ha niente a che vedere con la giustizia perché in sostanza, dice, stimola a considerare un condannato con implacabile disumanità e quasi mai come qualcuno che possa riscattarsi:
“Oggi, infatti, la pena di morte è inammissibile, per quanto sia grave il reato commesso dal condannato. È un affronto all’inviolabilità della vita e della dignità della persona umana che contraddice il disegno di Dio sull'uomo, la società e la sua giustizia misericordiosa (...). Essa non rende giustizia alle vittime, ma incoraggia la vendetta. Il comandamento 'Non uccidere' ha un valore assoluto e riguarda sia l'innocente e il colpevole”.
Nell’Anno in cui la Chiesa parla la lingua della misericordia, il Papa riconosce “una buona occasione per promuovere nel mondo forme sempre più mature di rispetto per la vita e la dignità di ogni persona”, giacché – ripete – “il diritto inviolabile alla vita, dono di Dio, appartiene anche a chi ha commesso un crimine”:
“Vorrei incoraggiare tutti a lavorare non solo per l'abolizione della pena di morte, ma anche per il miglioramento delle condizioni della detenzione, a rispettare pienamente la dignità umana delle persone private della libertà. ‘Fare giustizia’ non significa una pena fine a se stessa, ma che le pene hanno come scopo principale la riabilitazione del reo”.
La questione, conclude Francesco, deve essere “inquadrata nell’ottica di una giustizia penale aperta alla speranza di reinserimento del reo nella società”:
“Non c'è nessuna pena valida senza la speranza! Una pena fine a se stessa, che non porta alla speranza, è una tortura, non una pena”.


SRI LANKA: MINISTRO DEGLI ESTERI INVITA AD AVERE CORAGGIO DI ABOLIRE LA PENA DI MORTE
22 giugno 2016: nel suo discorso di apertura in occasione della prima sessione plenaria del VI° Congresso Mondiale Contro la Pena di Morte su "Progresso e battute d'arresto in Asia: lezioni da imparare", il Ministro degli Esteri dello Sri Lanka Mangala Samaraweera ha detto che la stragrande maggioranza dei suoi colleghi in Parlamento trovano la pena di morte moralmente ripugnante e sono consapevoli della sua inefficacia ma temono la reazione istintiva dell'opinione pubblica disinformata.
"Pertanto, la sfida comune che dobbiamo affrontare oggi è convincere i nostri rispettivi cittadini e forse ancora più importante avere il coraggio collettivo di guidarli dando l’esempio", ha detto il Ministro Samaraweera, il quale ha confermato che il Ministro della Giustizia aveva informato il Parlamento che lo Sri Lanka sarebbe tornato alla sua posizione tradizionale di votare a favore della Risoluzione delle Nazioni Unite su una moratoria della pena di morte come ha fatto nel 2007, 2008 e 2010 e, cosa ancora più importante, continuando la moratoria di fatto in atto da quattro decenni.
Samaraweera ha detto che l'abolizione della pena di morte richiede persuasione e determinazione, ma soprattutto richiede una leadership – una leadership collettiva di legislatori, attivisti, opinionisti, studiosi e giudici. "Sviluppata questa massa critica, sono fiducioso che i prossimi anni vedranno la morte della pena di morte nella nostra regione", ha concluso il Ministro.


DONA IL 5XMILLE A NESSUNO TOCCHI CAINO
Desideriamo segnalarti che è possibile destinare il 5Xmille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche ad associazioni quali Nessuno tocchi Caino.
Per farlo basta firmare, nella tua dichiarazione dei redditi, nel riquadro “Sostegno alle organizzazioni non lucrative, delle associazioni di promozione sociale, delle associazioni riconosciute che operano nei settori di cui all’art. 10 c. 1, lett d, del D. Lgs. N. 460 del 1997 e delle fondazioni nazionali di carattere culturale”.
Ricorda di scrivere sotto la tua firma il codice fiscale di Nessuno tocchi Caino: 96267720587 Con un gesto semplice, che a te non costa assolutamente nulla e che non sostituisce l’8Xmille, puoi sostenere la campagna di Nessuno tocchi Caino contro la pena capitale.
Se vuoi maggiori informazioni ci puoi contattare allo 06 68803848 Segnala questa opportunità anche ad amici, parenti, conoscenti e a quante più persone possibili!!!!!!!
Grazie


ROMA: 26 GIUGNO CONCERTO DELLA MISERICORDIA L’Associazione Radicale Nessuno tocchi Caino, l’“Ensemble “Estro Musicale” con la Parrocchia di Santa Lucia del Gonfalone sono lieti di invitarLa per domenica 26 giugno al Concerto per il giubileo della Misericordia dedicato, in misura uguale, a coloro che di molta Misericordia ora hanno bisogno e a coloro che sanno offrirla.
Il Concerto della Misericordia avrà inizio alle ore 19.30 nella Chiesa di Santa Lucia del Gonfalone, via dei Banchi Vecchi 12, a Roma.
Il Concerto è offerto dai musicisti Luigi Marasciulo, Luigi Ciriello, Donato Cedrone, Matteo Piacentini con il direttore artistico Irma Mastropierro.

I concertisti eseguiranno brani di musica classica: dall’“Inno della Misericordia”, dedicato a Papa Francesco di Paul Inwood, a “Fratello Sole e Sorella Luna” di Ortolani al “Salut d’amour” di E. Eldgar.