sabato 30 aprile 2016

SANDRO BOTTICELLI-ANNUNCIAZIONE DI SAN 
MARTINO ALLA SCALA-DEPOSITI GALLERIA 

UFFIZI 
   FIRENZE    

L'Annunciazione di San Martino alla Scala è un dipinto murale staccato (243×555 cm) di Sandro Botticelli, databile alla primavera del 1481.

Il dipinto si trovava originariamente nell'ospedale di San Martino alla Scala a Firenze, in una delle logge. Nel 1624 subì gravi danni per la trasformazione della loggia in atrio della chiesa, con il ritaglio della parte superiore in due lunette. Nel 1920 si decise di strapparlo, causando ulteriori danni sui confini della frattura che lo divideva in due parti, e di destinarlo agli Uffizi.
Il Fantozzi lo menzionò senza cercare di attribuirlo, mentre Crowe e Cavalcaselle lo assegnarono a Filippino Lippi. Il primo a restituirlo a Botticelli, venendo poi accolto da tutta la critica, fu Herbert Percy Horne.
La scena è ambientata nell'abitazione di Maria: l'Angelo sta per atterrare nella loggia aperta verso il giardino e il paesaggio, mentre Maria sta inginocchiata nell'anticamera della stanza da letto: ella sospende la lettura delle Sacre Scritture e si piega con un gesto di umile accettazione.
Nel dipinto spicca la vigorosa apparizione dell'Angelo, che plana con abiti gonfi e il giglio, sua offerta alla purezza di Maria, piegato dal vento dell'atterraggio. il gesto di Maria, così religiosamente remissivo, sembra anticipare alcune figure dell'attività più tarda, senata dal misticismo savonaroliano. Nel sicuro impianto prospettico e compositivo si ravvedono vari elementi tipici del tema dell'annunciazione: l'hortus conclusus (giardino recintato), simbolo di verginità, la camera da letto, simbolo di immacolata concezione, il libro, simbolo delle profezie che si avverano con l'accettazione della Vergine. Notevole è la cura dei dettagli, come la viva decorazione a girali nei pilastri, o la resa materica dei veli setosi nella tenda e nelle lenzuola, oltre che nelle vesti. .
PIETRO PERUGINO-MARIA MADDALENA-GALLERIA 
     PALATINA FIRENZE         


La Maria Maddalena è un dipinto a olio su tavola (47x34 cm) di Pietro Perugino, databile al 1500.
Il dipinto è elencato nell'inventario di palazzo Pitti del 1641, con attribuzione al Perugino, ma già in quello del 1691 è assegnato a Raffaello. Dal 1695 poi è sempre ricordato come pendant al Ritratto di Francesco Maria della Rovere agli Uffizi, generalmente assegnato oggi al Sanzio.
Dal 1797 al 1803 venne inviato a Palermo, con attribuzione al Franciabigio, ma in quel periodo viene avanzata anche l'ipotesi di un'opera di Leonardo da Vinci (ripresa da Luigi Lanzi). In seguito venne assegnata a Jacopo Francia (inventari del 1810, 1815 e 1829).
L'attribuzione al Perugino oggi è comunemente accettata dalla critica moderna.
Maria Maddalena è ritratta di tre quarti, rivolta a sinistra con lo sguardo trasognato in una silenziosa contemplazione guardando in basso verso destra. L'effigie della santa è ripresa dall'inconfondibile fisionomia di Chiara Fancelli, moglie di Perugino e modella di tante Madonne, sia del marito che del giovane Raffaello. Lo stile del dipinto è dolce e accattivante, paradigamtico di quelle caratteristiche che determinarono il successo dell'artista.
La figura emerge da uno sfondo scuro con toni morbidi e modulati, debitori dello sfumato leonardesco, mentre la posa, con le mani appoggiate su un immaginario parapetto, riprende l'esempio della scuola fiamminga, in particolare di opere come quelle di Hans Memling. Finissima è la cura del dettaglio, come la veste bordata di pelliccia, resa con sottilissimi tratti in punta di pennello. L'opera è confrontabile con una Madonna al Louvre, pure con sfondo scuro, attribuita a quegli stessi anni.
NESSUNO TOCCHI CAINO     

   no alla pena di morte..............



1.  LA STORIA DELLA SETTIMANA : SRI LANKA: IL PRESIDENTE COMMUTA 83 CONDANNE CAPITALI 2.  NEWS FLASH: GEORGIA (USA): DANIEL ANTHONY LUCAS GIUSTIZIATO 3.  NEWS FLASH: ARABIA SAUDITA: SIRIANO GIUSTIZIATO PER OMICIDIO 4.  NEWS FLASH: MAURITANIA: CONFERMATA LA CONDANNA A MORTE DEL BLOGGER ‘BLASFEMO’
5.  NEWS FLASH: VIETNAM: QUATTRO CONDANNE A MORTE PER TRAFFICO DI DROGA 6.  I SUGGERIMENTI DELLA SETTIMANA :


SRI LANKA: IL PRESIDENTE COMMUTA 83 CONDANNE CAPITALI
25 aprile 2016: il presidente dello Sri Lanka Maithripala Sirisena ha deciso di commutare in ergastolo le condanne di 83 prigionieri del braccio della morte.

Sirisena ha deciso di risparmiare la vita di questi prigionieri sulla base delle raccomandazioni fatte da un comitato nominato a seguito della richiesta di rivedere le condanne a morte, avanzata dal comitato congiunto dei Ministeri della Legge e Riforma delle Prigioni e della Giustizia.
Il Commissario Generale delle Prigioni Nishan Danasinghe ha detto di aspettarsi che altri condannati a morte ricevano in futuro la stessa concessione.
Sebbene i giudici dello Sri Lanka pronuncino condanne a morte per reati gravi come omicidio, stupro e traffico di droga, nessuna esecuzione è stata praticata nel Paese dal 1976.
Lo Sri Lanka lo scorso anno ha deciso di votare a favore di una risoluzione delle Nazioni Unite per la moratoria sulla pena di morte.


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NESSUNO TOCCHI CAINO - NEWS FLASH

GEORGIA (USA): DANIEL ANTHONY LUCAS GIUSTIZIATO
27 aprile 2016: Daniel Anthony Lucas, 37 anni, bianco, è stato giustiziato in Georgia.
Era accusato, ed aveva confessato, di aver ucciso, nell’aprile 1998, un uomo e i suoi due figli durante una rapina in abitazione.
Lucas venne condannato a morte nel 2000 per gli omicidi di Steven Moss, 37 anni, Kristin Moss, 15 anni, e Bryan Moss, 11 anni.
Il coimputato Brandon Joseph Rhode venne giustiziato il 27 settembre 2010.
Lucas diventa il 5° giustiziato di quest’anno in Georgia, il 63° da quando la Georgia ha ripreso le esecuzioni nel 1983, il 13° dell’anno negli USA, e il giustiziato n° 1435 da quando, il 17 gennaio 1977, gli Stati Uniti hanno ripreso le esecuzioni.
(Fonti: Atlanta Journal Constitution & Rick Halperin, 27/04/2016) Per saperne di piu' :

ARABIA SAUDITA: SIRIANO GIUSTIZIATO PER OMICIDIO
26 aprile 2016: l’Arabia Saudita ha giustiziato un prigioniero siriano riconosciuto colpevole di omicidio, portando a 87 il numero di esecuzioni praticate da inizio anno.
Si tratta di Ahmed al-Ramadan, che avrebbe accoltellato e strangolato la vittima, un cittadino saudita che all’alba stava lasciando la propria abitazione per andare a pregare, ha riportato il Ministero degli Interni, senza precisare che relazione ci fosse tra i due.
L’esecuzione del siriano ha avuto luogo nella regione di Qassim, a nord-ovest della capitale saudita Riad.


MAURITANIA: CONFERMATA LA CONDANNA A MORTE DEL BLOGGER ‘BLASFEMO’
21 aprile 2016: una corte d'appello della Mauritania ha confermato la condanna a morte di un blogger accusato di blasfemia, ha riferito alla AFP una fonte giudiziaria.
Cheikh Ould Mohamed Ould Mkheitir, conosciuto anche come Mohamed Cheikh Ould Mohamed, è stato condannato a morte in primo grado nel 2014 con l'accusa di "apostasia".
La corte d'appello ha confermato la condanna capitale, ma ha declassato l’accusa da apostasia a quella meno grave di essere un "infedele", a seguito del pentimento del blogger, ha riportato la fonte.
La fonte ha aggiunto che Mkheitir potrebbe essere graziato dalla Corte Suprema "se si convincono che il suo pentimento è sincero".
L'imputato, di età compresa tra 30 e 40 anni, fu arrestato nel 2014 dopo aver pubblicato su internet un articolo che le autorità ritengono blasfemo.
L'annuncio della condanna a morte in primo grado fu accolto con pubbliche celebrazioni in due città della Mauritania.
Amnesty International ha definito Mkheitir un "prigioniero di coscienza".
"Ha scritto un post su un blog criticando le persone che usano la religione come mezzo di discriminazione e ingiustizia", ha dichiarato Gaetan Mootoo, uno specialista sull'Africa occidentale di Amnesty International.
E 'stato "imprigionato per aver esercitato il suo diritto alla libertà di parola in modo pacifico", ha aggiunto Mootoo.


VIETNAM: QUATTRO CONDANNE A MORTE PER TRAFFICO DI DROGA
25 aprile 2016: un tribunale di Hanoi, in Vietnam, ha condannato a morte tre cittadini vietnamiti e una donna thailandese per traffico di droga.
Nguyen Thi Thuy Trang, 53enne di Ho Chi Minh City, a partire dal 2011 avrebbe assunto delle persone per aiutarla nei traffici di droga nella regione.
La polizia di Hanoi, della provincia di Quang Ninh e di Ho Chi Minh City sgominarono la banda nel mese di ottobre 2012, sequestrando 24 chilogrammi di eroina e più di due chili di metanfetamine.
Arrestarono Trang e tre dei suoi trafficanti, identificati dai media come Le Xuan Phu, Phan Thi Lien e Pornpirom Upapong, originaria della Thailandia.
I membri della banda hanno indicato in Trang la mente del gruppo, aggiungendo di essere stati assoldati per il trasporto di droghe in tutti i paesi della regione, tra cui Cina, Cambogia, Nigeria, Malaysia, Thailandia e Filippine.
Secondo la polizia, la banda avrebbe anche reclutato alcuni africani che usavano i soldi per attirare nel business illegale povere donne vietnamite, con poca conoscenza circa le leggi sulla droga.

La polizia è ora alla ricerca di questi elementi.
Luca della Robbia, Madonna col bambino che mostra un 


cartiglio(1446-1449), Galleria dello Spedale 

degli Innocenti


      Firenze     



   VERROCCHIO-INCREDULITA' DI S.TOMMASO      
   ORSANMICHELE FIRENZE    


Il gruppo statuario dell'Incredulità di san Tommaso di Andrea del Verrocchio fa parte del ciclo delle quattordici statue dei protettori delle Arti di Firenze nelle nicchie esterne della chiesa di Orsanmichele. Fu commissionata dal Tribunale di Mercatanzia e risale al 1466/67-1483. È in bronzo ed è alta 241 (il Cristo) e 203 cm (San Tommaso). È l'unica scultura del gruppo a non essere a tutto tondo: a parte le teste, si tratta infatti di un altorilievo cavo privo del lato posteriore. Oggi si trova conservata all'interno del Museo di Orsanmichele, mentre all'esterno è sostituita da una copia: a causa della sua natura è l'unica nel museo ad essere circondata da strutture che simulano la nicchia.
L'edicola centrale sulla via principale (via de' Calzaiuoli) era riservata al Tribunale di Mercatanzia, l'organo che disciplinava le questioni giuridiche e amministrative tra le Arti. La nicchia, come riportato da Vasari, era stata inizialmente disegnata e scolpita da Donatello con l'aiuto di Michelozzo ed apparteneva alla Parte Guelfa. Anticamente vi era ospitata, fino al 1460 circa, la statua in bronzo dorato del San Ludovico di Tolosa di Donatello, poi spostata sulla facciata di Santa Croce e da qui nel Museo di Santa Croce.
Nel 1463 l'edicola fu acquistata dal Tribunale, che nel 1466 incaricò Verrocchio di realizzare un nuovo monumento. Nel 1468 un documento reca la decisione di creare due statue. Tra il 1473 e il 1476 il progetto venne elaborato definitivamente, con la realizzazione della figura del Cristo, al quale si aggiunse San Tommaso solo nel 1483.
Il tema era stato scelto poiché legato al ruolo giudiziale, che deve valutare e provare i fatti con le prove.
Il gruppo venne rimosso dal tabernacolo nel 1988 e sottoposto al restauro a cura dell'Opificio delle Pietre Dure nel 1992. Nello stesso periodo si approntò anche la copia da esporre all'esterno.


La struttura dell'edicola è tra quelle pienamente rinascimentali di Orsanmichele. Mancano gli archetti gotici e si trova invece una calotta ad arco a tutto sesto, decorata come la valva di una conchiglia e sorretta da due colonnine tortili con capitelli ionici; due paraste corinzie reggono un fregio di cherubini e festoni e un timpano dove, entro un medaglione di ghirlanda, è raffigurato a bassorilievo la Trinità. I pennacchi attorno all'arco sono decorati da rilievi di putti, che si ritrovano anche sulla base mentre, in volo, reggono un clipeo a ghirlanda; ai lati della base si trovano due mascheroni.
Il gruppo di Cristo e San Tommaso mostra l'episodio evangelico (Giovanni 20, 24-29) in cui l'apostolo dubita del Cristo risorto e per questo viene invitato dal Redentore a toccare con mano la sua ferita nel costato. Innovativa è l'idea di rappresentare le figure sacre come in dialogo fra loro in una simulazione teatrale, con Cristo che è rappresentato mentre alza il braccio e discosta la veste per mostrare la ferita al discepolo, che guarda incredulo e fa per toccare. 

Il gruppo venne ben presto ammirato per la felice scelta compositiva, per le espressioni dei protagonisti e per la perizia con il quale si era risolto il problema dell'angusto spazio della nicchia: San Tommaso è infatti posto un gradino sotto al Cristo, la sua gamba copre la base di una delle colonnine e il suo piede destro esce dalla nicchia, "bucando" lo spazio della rappresentazione. Il panneggio è pesante e cade come se fosse bagnato, secondo un tratto stilistico che venne ripreso anche dall'allievo Botticelli.
Durante il restauro si è appurato l'eccellente esecuzione, con la padronanza della tecnica a cera persa che ha permesso un'unica gittata per ciascuna delle figure. Per evitare i difetti in fase di fusione, venne realizzato un alto spessore del metallo, che venne poi rifinito, cesellato e lucidato con una straordinaria cura.


      DOMENICO BECCAFUMI-DECAULIONE E PIRRA     
     MUSEO        HORNE FIRENZE       


Deucalione e Pirra è un dipinto a olio su tavola (65,5x145 cm) di Domenico Beccafumi, databile al 1520-1525..
L'opera, di provenienza inglese ignota, fa parte di una serie di pannelli per cassoni e spalliere che Beccafumi dovette dipingere durante la sua carriera.

Il soggetto, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, è legato alla leggenda di Deucalione e Pirra che simboleggia il ruolo della coppia nella fondazione di una nuova stirpe: tema particolarmente adatto a un cassone o comunque a un arredo nuziale.
Pubblicato dal Gamba con attribuzione al maestro senese (1920), da allora è stato sempre confermato nel catalogo dell'artista, accostandolo ad altre scene simili, come l'Ercole al bivio del Museo Bardini, il Ratto di Europa della collezione Guarini del Taja a Siena.
I due coniugi sono rappresentati a sinistra mentre, come loro indicato, si lanciano sassi alle spalle dai quali rinascono nuovi individui dopo lo sterminio del diluvio. Il tratto rapido e sfumato e la vivacità narrativa rimandano agli esempi raffaelleschi della Loggia vaticana o della stanza del Fregio di Villa Farnesina. L'ambientazione è un'aperta campagna rappresentata con tonalità calde e con lo sfumare della prospettiva aerea. A sinistra un tempio a pianta circolare richiama il gusto classicista romano.

venerdì 29 aprile 2016

ALBRECHT DURER-L'ADORAZIONE DEI MAGI       
 GALLERIA DEGLI UFFIZI FIRENZE  



L'Adorazione dei Magi è un dipinto a olio su tavola (199x113,5 cm) di Albrecht Dürer, siglato col monogramma e datato 1504.
L'opera fu commissionata da Federico il Saggio per l'altare della cappella del castello di Wittenberg e venne terminata nel 1504, come testimonia la data sulla pietra in primo piano vicino al monogramma dell'artista. Si tratta di uno dei dipinti più significativi dell'artista nel periodo compreso tra il primo (1494-1495) e il secondo viaggio in Italia (1505).
L'opera stette nelle collezioni imperiali di Vienna di Rodolfo II, in particolare nella Kunstkammer del palazzo, dal 1603, come dono dell'elettore Cristiano II di Sassonia.
Rimase a Vienna fino al 1793, quando il direttore degli Uffizi Luigi Lanzi, desideroso di arricchire organicamente le collezioni della galleria fiorentina con un'opera importante che rappresentasse il rinascimento tedesco, propose e vide accettato un normale scambio di opere, dando una pala di Fra Bartolomeo, la Presentazione al Tempio del 1516.
Nelle antiche descrizioni del castello di Wittenbach si cita anche la figura di san Giuseppe, che si sarebbe dovuta trovare a sinistra della capannuccia, descritto chiaramente come in piedi accanto all'asino che mostra i denti. Ma la sua figura non esiste neanche nella copia del dipinto dei primi del Cinquecento nella Biblioteca Universitaria di Erlangen, per cui si è ipotizzato che fosse un'aggiunta apocrifa del periodo controriformistico tra Cinque e Seicento, quando la figura del padre putativo di Gesù assunse un ruolo preminente nella liturgia cattolica.
Si è ipotizzato che la tavola fosse lo scomparto centrale dell'Altare Jabach, ma appare piuttosto inverosimile poiché i due pannelli laterali, che si sarebbero dovuti chiudere ad anta su di esso, per quanto di misure compatibili hanno la sommità centinata, che non avrebbe potuto coprire lo scomparto centrale. Tra i vari disegni ascrivibili a studi per la pala c'è un foglio nell'album di schizzi di Dresda (1500-1503 circa) che riproduce una splendida coppa molto simile a quella tenuta al centro del dipinto dal re in piedi.
L'Adorazione si svolge secondo uno schema collaudato, con la Madonna di profilo che offre il Bambino all'adorazione dei Magi. La grande originalità dell'opera risiede però soprattutto nella commistione, ormai arrivata a un livello quasi perfetto, tra elementi italiani e nordici, che interessa la produzione del grande pittore tedesco dopo il suo rientro dal primo viaggio a Venezia. La centralità delle figure principali, l'orizzonte basso e alcuni dettagli come l'edificio classicheggiante in rovina o le nubi leggere che solcano il cielo rimandano infatti ai modelli italiani, mentre tipicamente nordiche sono l'attenzione al dettaglio e la ricchezza dell'ornato, soprattutto nelle vesti e nei gioielli dei Magi, che però non scavalcano mai il senso armonico generale dell'insieme.
Tipica di Dürer è poi la cromia che ricorda i toni luminosi e translucidi dell'acquerello, aggiornata alla ricchezza coloristica veneziana, con una dominante azzurrina nel cielo e nel paesaggio che è accostata ai colori più caldi delle figure in primo piano. Sapiente è quindi il dosaggio della saturazione dei colori, dalla scura capannuccia, da cui sporgono il bue e l'asinello ragliante, di grande naturalismo, fino al cielo terso e la straordinaria rocca sul picco di un monte sullo sfondo che appare velata dalla foschia, secondo le regole della prospettiva aerea, che genera un effetto di particolare preziosità ed amplifica la profondità spaziale, senza peraltro comprometterne mai l'unitarietà. Le figure si trovano disposte su più piani paralleli, evitando la frontalità rigida e creando sfondi diversificati per accentuare le figure principali. Perfette sono le proporzioni tra figure e ambiente.
La Madonna indossa il tipico manto blu, che le dà un particolare rilievo plastico, e un velo bianco, che spicca facendo convergere l'occhio dello spettatore sulla sua figura e sul vicino Bambino. I tre Magi, uno giovane e di colore, uno di età matura e fisionomia nordica (in cui qualcuno ha voluto riconoscere un autoritratto), uno anziano e di etnia caucasica, indossano una profusione di vesti ornate da ricami, pellicce e piume, con numerosi gioielli i cui riflessi luminosi testimoniano l'assimilazione della lezione fiamminga sui riflessi luminosi delle varie superfici. Portano doni che sono veri e propri capolavori d'oreficeria, riprendendo le forme dei reliquiari e di altri manufatti dell'epoca: sia il padre che i fratelli di Dürer erano infatti importanti orafi a Norimberga.
Questa scena principale si svolge su una platea rialzata di qualche gradino, al di fuori della quale i colori delle figure diventano già più diafani, come nel servitore vestito alla turca in basso a destra, che fruga in una grande borsa di pelle. Sopra di esso si vedono alcuni cavalieri, che ricordano da vicino il gruppo sfondo dell'Adorazione dei Magi di Leonardo da Vinci, tanto che si pensa che Dürer dovette studiarne una copia su disegno o su stampa: ad esempio il cavallo che si impenna è quasi identico.
L'edificio in rovina, con gli archi che ricordano l'architettura romana, era tipico delle scene dell'Adorazione e simboleggiava il sorgere del Cristianesimo dal Paganesimo (strutture lapidee) e l'Ebraismo (strutture lignee) in rovina.
Nel primissimo piano, tra frammenti di pietra disconnessi, sono raffigurati con meticolosità, a fronte di veri e propri studi dal vero, una serie di pianticelle e alcuni insetti, come la farfalla bianca, un cervo volante e un grillo. Essi hanno precisi significati simbolici, legati alla salvezza dell'uomo ottenuta tramite il sacrificio di Cristo.
MAESTRO DI SANTA CECILIA-S.CECILIA-GALLERIA 
  DEGLI UFFIZI FIRENZE      


Santa Cecilia e storie della sua vita è un dipinto a tempera e oro su tavola (85x181 cm) del Maestro della Santa Cecilia, databile a dopo il 1304.
L'opera, un dossale d'altare tra i più significativi della scuola fiorentina del Trecento, proviene dalla distrutta chiesa di Santa Cecilia a Firenze. Giovanni Villani ricorda come l'edificio fu ricostruito dopo un disastroso incendio nel 1304, e l'opera deve risalire a un periodo immediatamente successivo, quando Giotto era ancora in vita e quello che è stato indicato come "Maestro della Santa Cecilia" proprio a partire da questa tavola (Cavalcaselle e Frey), era uno dei suoi più stretti collaboratori, autore anche di alcune delle Storie di san Francesco ad Assisi. In Santa Cecilia l'opera venne vista dal Vasari, che la attribuì a Cimabue.
La pala mostra al centro, in tutta la sua figura, Santa Cecilia in trono. Evidenti sono i rimandi in questa rappresentazione alle coeve novità di Cimabue e Giotto, infatti il trono è già in prospettiva intuitiva, e ha un traforo sui lati, a mo' di ciborio, come compare poi, anni dopo, anche nella Maestà di Ognissanti di Giotto. Essa tiene in mano la palma del martirio e un libro ed ha un'espressione sorridente. La sua figura, a differenza dei personaggi stilizzati nell Storie, è plastica e massiccia, quasi dilatata come nelle migliori opere giottesche.
Ai lati si trovano, in due gruppi simmetrici, otto storie della sua vita, secondo uno schema che affonda le radici nell'arte duecentesca. Si leggono da sinistra a destra, dall'alto in basso, prima nella metà sinistra e poi in quella destra:
Banchetto di nozze di santa Cecilia e san Valeriano
Santa Cecilia converte san Valeriano
San Valeriano incoronato da un angelo
Santa Cecilia predica a san Valeriano e san Tiburzio
Battesimo di san Tiburzio
Santa Cecilia che predica pubblicamente
Santa Cecilia davanti al prefetto
Martirio di santa Cecilia
Le storie ricordano il casto matrimonio tra Cecilia e Valeriano, la loro partecipazione attiva al Cristianesimo e l'arresto e martirio della santa. Mancano attributi che rimandino al patronaggio della musica da parte della santa, poiché legati a un culto che si diffuse solo nel XVI secolo.
Le scene sono caratterizzate da un realismo minuto, con un'attenzione preponderante ai fondali architettomnici e alla collocazione delle figure nello spazio, come in una riduzione in scala degli affreschi di Assisi. L'intuitività della prospettiva è testimoniata ad esempio nella scena del Banchetto, in cui il tavolo è scorciato in maniera diversa dalla stanza. Le figurette invece appaiono ancora legate alla scuola bizantina, con proporzioni allungate e atteggiamenti convenzionali, nonostante una certa vivacità in alcune scene.
DONATELLO ? IL PUTTO DANZANTE-MUSEO DEL 
   BARGELLO FIRENZE     


Il Putto danzante è un'opera bronzea attribuita a Donatello. È alto 37,80 cm ed è databile al 1423-1427, periodo in cui l'artista lavorò a Siena.
Francesco Caglioti (2003) ha ricostruito la storia della scultura. Secondo lui l'opera faceva parte di una prova scartata per la serie dei tre putti per il fonte battesimale senese, come dimostra l'affinità con uno degli esemplari in loco. Alcune differenze nella base escludono che si tratti di un'opera da mettere in relazione diretta con gli altri sei putti del fonte (tre di Giovanni di Turino - danzante, giocatore con la palla e uno perduto - e tre di Donatello, di cui due ancora in loco - danzante e suonatore di tromba). Un terzo putto di Donatello è probabilmente quello suonatore di tamburello oggi a Berlino. Probabilmente rimase a lungo nella bottega del maestro finché, magari attraverso Bertoldo di Giovanni, non venne donato ai Medici, per questo è precocemente registrato nelle collezioni di famiglia, passate poi ai Granduchi e poi allo Stato.
DOSSO DOSSI-ALLEGORIA DI ERCOLE-GALLERIA   
  DEGLI UFFIZI FIRENZE   


L'Allegoria di Ercole è un dipinto a olio su tela (143x144 cm) di Dosso Dossi, databile al 1535 circa. L'opera, a causa del soggetto incerto, è nota anche con i titoli Bambocciata e Stregoneria.
L'opera venne acquistata a Siena da Giannotto Cennini per conto del cardinale Leopoldo de' Medici, che lo ricevette nel 1665. L'inventario parla di un "quadro con i ritratti dei buffoni dei duchi di Ferrara". Una tale soggetto, caricaturale e satirico, è compatibile solo son una commissione diretta di Ercole II d'Este, che si fece rappresentare ironicamente come il "vecchio Ercole" a cui fa riferimento il titolo.
L'attribuzione al Dossi è indiscussa, con una datazione all'ultima fase.
L'opera è nota anche con i titoli di Bambocciata (Mendelsohn) o stregoneria (Roberto Longhi), a confermare l'incertezza sul soggetto che rappresenta. Fu Felton Gibbon a ipotizzare che si trattasse di una trasposizione del tema dell'Ercole al bivio, cioè una rappresentazione allegorica dell'eroe davanti alla scelta tra una vita difficile ma virtuosa o una sperperata nella facile dissolutezza. Calvesi infine parlò di un'allegoria di Bacco e del suo seguito, leggendo vari simboli bacchici sparsi nella tela.
Ercole, alludendo al vecchio duca, è rappresentato in primo piano come un vecchio seminudo con una ghirlanda di rose in testa e reggente due sfere, una vicina a sé e una trainata con una cordicella che passa attraverso: un'allusione al suo reggere lo Stato da vicino e da lontano, accompagnato da buffoni e donne lascive.
Sicuramente l'artista era interessanto a rappresentate una galleria di personaggi grotteschi, ispirato dalla pittura di genere nordica. La scena si svolge in un interno scuro, di ascendenza lombarda, dietro un parapetto su cui sono appoggiati alcuni simboli di non facile interpretazione: due baccelli, un piattino con del formaggio piccante e un coltellino, una gazza ladra (Pica pica) e un ramo di ciliegio, carico di frutti. Si tratta probabilmente di salaci allusioni erotiche, "piccanti" appunto.
A una tavola su cui è posato un esotico tappeto si svolge un allegro convivio tra vari commensali. Al centro un giovane riccamente vestito, che regge un arcolaio da cui spunta un rametto di sambuco: si tratta di un riferimento a una vicenda di ercole che fu costretto a camuffarsi vestito da donna e filare per amore di Onfale. A destra da due cortigiane con un'elaborata cuffia in testa, secondo la moda del tempo, una delle quali ha il seno scoperto e regge un cesto di frutta, vicino a una maschera (simbolo dell'amore sensuale) e un tamburello.
In secondo piano si allineano quattro personaggi maschili: un uomo dai capelli bianchi che guarda di tre quarti verso lo spettatore vicino a una capra (simbolo di lascivia), un uomo maturo di profilo e due inservienti, uno dei quali sembra reggere il cagnolino bianco di una delle donne. Tutti sembrano coinvolti nell'osservare il gioco dell'uomo anziano. I volti sono spesso rubicondi, con fisionomie cariche, quasi caricaturali.
La tavolozza predilige i toni rossastri e bruni, che ben si addicono all'atmosfera un po' torbida dell'opera. L'atmosfera umida e ombrosa è rischiarata da un raggio di luce che si posa, guarda caso, proprio sul seno della donna scollacciata.
Aggrionamenti Parlamentari

RESOCONTO DELLA DECIMA RIUNIONE
SUL TESTAMENTO BIOLOGICO DELLA COMMISSIONE AFFARI SOCIALI ALLA CAMERA DEI DEPUTATI

di Matteo Mainardi

Continuano le audizioni degli esperti in Commissione Affari Sociali. Il tema è ancora quello delle DAT ossia delle Direttive Anticipate di Trattamento. Nella seduta del 28 aprile sono intervenuti: Stefano Canestrari, professore di Diritto penale all’Università di Bologna, Monica Toraldo Di Francia, docente di Bioetica alla Stanford University, e infine Grazia Zuffa, psicologa e psicoterapeuta.

Grazie a Radio Radicale, è possibile riascoltare tutti gli interventi integrali cliccando qui.

Molto interessante è stato l’intervento del professor Canestrari, il quale ha messo in evidenza la frattura tra il Codice penale del ’30 e la Carta costituzionale del ’48. Secondo il primo la vita apparteneva allo Stato, secondo la Costituzione invece vi è un diritto a non subire trattamenti sanitari contro la propria volontà. Infatti, in capo al paziente competente e autonomo, vi è un diritto pieno al rifiuto delle cure. Tutto ciò non configura un diritto al suicidio, ma il diritto all’inviolabilità della propria sfera corporea.

Anche se a tanti lettori queste conclusioni possono sembrare scontate, non lo sono per diversi parlamentari che siedono in Commissione Affari Sociali. Arrivati a 12 riunioni sulle DAT, e avendo audito così tanti esperti - per la maggior parte concordi sul considerare idratazione e nutrizione artificiali come trattamenti rifiutabili dal paziente e concordi nel prevedere vincolanti le Direttive anticipate -, ci chiediamo cosa stiano aspettando i membri della Commissione per iniziare il dibattito generale sui testi in discussione.


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La stupidità su Facebook non ha limiti.......

Qualche idiota ha segnalato a Facebbok come immagine inappropriata il quadro LA VENERE DI LORENZO CREDI. Voglio ricordare all'anonimo idiota che l'opera scandalosa è esposta alla GALLERIA DEGLI UFFIZI A FIRENZE,........ a questo punto gli consiglierei di fare una segnalazione anche alla direzione del museo fiorentino. Consiglio all'Idiota in questione di scandalizzarsi  anche di fronte a certi post razzisti, carichi di odio e minacce che stanno circolando in modo indisturbato sul noto social. Pretenderei che il signor IDIOTA si scandalizzasse per quei post ove si inneggia e si esaltano certe infami dittature e i crimini commessi da certi dittatori. Caro signor o signora idiota ecco l'immagine che ti ha fatto tanto scandalizzare.
Povera Italia come sei caduta in basso.



LORENZO DI CREDI-LA VENERE GALLERIA UFFIZI     
    FIRENZE      


La Venere è un dipinto a olio su tela (151x69 cm) di Lorenzo di Credi, databile al 1493-1495 circa. Realizzata per la villa medicea di Cafaggiolo.
L'opera proviene dalla villa di Cafaggiolo, dove venne rinvenuta casualmente nel 1869. Da allora è concordemente attribuita a Lorenzo di Credi.

La superficie pittorica è sottilissima, il che fece pensare a Ridolfi e Jacobsen che si trattasse di un'opera incompiuta, priva delle verniciature dell'opera finita. Ne esiste un disegno preparatorio all'Albertina di Vienna (SR. 105).
Su uno sfondo scuro, che distingue solo il piano d'appoggio, si staglia statuaria una Venere, coperta appena da un sinuoso velo trasparente. La figura, intrisa di echi botticelliani, è costruita con un'attenzione alla linea di contorno, tipicamente fiorentina. Il corpo ancheggia verso sinistra con una braccio piegato che copre un seno e uno dritto che regge il velo all'altezza del pube. La postura è languidamente curva e la testa ruota verso destra, con un andamento a "S" che ricorda le raffinatezze del gotico.
STORIE DI OMICIDI AVVENUTI TRA I MEMBRI DELLE 
DINASTIA MEDICEA-ISABELLA DE' MEDICI  



Isabella Romola de' Medici (Firenze, 31 agosto 1542 – Cerreto Guidi, 15 luglio 1576) era figlia del Granduca di Toscana Cosimo I de' Medici e di Eleonora di Toledo.
La sua nascita venne accolta con grande gioia nella famiglia Medici, come terzogenita della coppia granducale. Crebbe tra Palazzo Vecchio e Palazzo Pitti, che all'epoca era in fase di ampliamento quindi la corte medicea non vi si era ancora trasferita definitivamente.
Nel 1553, quando aveva solo undici anni, i genitori stipularono per lei un contratto di nozze a Roma, che la legò Paolo Giordano I Orsini, duca di Bracciano, membro del potente clan degli Orsini. Ancora adolescente venne condotta a nozze nel 1558.
Di carattere spigliato e disinvolto, talvolta chiacchierato, era sposata a un uomo che i cronisti non risparmiano nel biasimarne l'impulsività, il cinismo, l'abitudine alla scialacqueria. Spesso trascurata durante i lunghi viaggi che tenevano il marito lontano da Firenze, era sorvegliata dal cugino del marito, Troilo Orsini, del quale ci è pervenuto un carteggio con la stessa Isabella, che rivela talvolta rapporti più che affettuosi intercorsi tra i due i quali non perdevano un'occasione per stare vicino.
Dopo la morte di Cosimo I, venuta meno la protezione paterna e forse anche con l'appoggio del nuovo granduca, il fratello di Isabella Francesco I (che certo non era uno stinco di santo, tanto che la sua relazione extra coniugale con Bianca Cappello fu uno degli argomenti più chiacchierati del Rinascimento), il marito Paolo, venuto probabilmente a sapere dell'infedeltà della moglie, volle vendicare personalmente il disonore, compiendo l'uxoricidio lontano da occhi indiscreti, nella villa di Cerreto Guidi il 14 luglio 1576.Nel frattempo Troilo uccise Lelio Torelli, intimo di Isabella.


La cronaca popolare descrive il fatto come avvenuto per soffocamento, tramite un laccio messo alla gola dallo stesso Paolo, ma stretto da un sicario appostato, anche se nelle lettere ufficiali si parla invece di morte per un malore mentre si stava lavando i capelli; Paolo Giordano precisa però come essa ebbe il tempo di "chiedere il perdono dei suoi peccati". Le prove del delitto sono state recentemente rintracciate dalla studiosa Caroline P. Murphy, nel carteggio tra Ercole Cortile, ambasciatore ferrarese, e il Duca d'Este, dove si parla di strangolamento con l'aiuto di un cavaliere di Malta amico dell'Orsini della famiglia Massimo.
Con il beneplacito, o vera e propria complicità, di Francesco I avvenne l'omicidio di Isabella. Fu probabilmente in quel periodo che vennero messe in circolazione ad arte le dicerie di incesto tra Isabella con il padre e col fratello prediletto Giovanni.
Troilo, che durante una rissa nel 1575 si trovò implicato nell'uccisione di un agente dei servizi segreti del Granduca, venne scoperto come legato ai congiurati contro Francesco e dovette fuggire a Parigi da Caterina de' Medici; qui venne raggiunto e giustiziato da un sicario di Francesco I nel 1577, tale Ambrogio Tremazzi che ricevette 300 scudi.
Paolo Giordano Orsini continuò la sua esistenza senza rimanere estraneo ad altri fattacci loschi, che ispirarono poeti e scrittori del Seicento. Gli venne per esempio donata la villa Baroncelli, dove teneva numerose cortigiane.